La speciale difficoltà del vertice di ieri era nel mettere insieme un piano che affrontasse la crisi dei mercati subito, ma garantisse anche uno sviluppo solido all’euro area e all’Unione europea nel futuro. Gli investitori guarderanno prima ai dettagli più immediati: di quanto vengono tagliati i crediti alla Grecia; come faranno le banche ad aumentare il capitale; quale potenza di fuoco c’è dietro il Fondo di salvataggio finanziario (Efsf). Tutti e tre questi punti richiederanno ancora tempo, dettagli e qualche calcolo di ingegneria finanziaria per valutarne la portata. In particolare perchè ognuno interferisce sugli altri.
La risposta generale del Consiglio Ue ai mercati è che una volta risolto il problema greco e ristrutturato il debito di Atene, non ci saranno altri governi, né altre banche, che incorreranno in un default. Il giudizio su Irlanda, Portogallo e Spagna è positivo e quello sull’Italia lo dovrà diventare per via delle misure annunciate. Il controllo del rispetto degli impegni da parte delle istituzioni europee, e della Bce, sarà garanzia per gli investitori e per la politica.
Ma è possibile che già dalla prossima settimana lo sguardo si alzi verso l’orizzonte più lungo. Investitori che oggi ritengono che i Paesi dell’euro siano più rischiosi del Pakistan e si rifugiano in titoli a rendimento reale negativo, tedeschi, britannici o americani, si chiederanno cioè quale futuro ha l’euro. Quali sono le garanzie politiche dietro l’intero progetto.
A questo riguardo le indicazioni del vertice di ieri e di quelli dell’ultima settimana sono rilevanti per l’Europa. Lo sono anche per le prospettive dell’Italia e per dare un senso compiuto alle misure di emergenza fiscale che il nostro Paese deve affrontare.
L’euro area e l’Ue vanno verso una nuova modifica dei Trattati. Forse solo la cancelliera Merkel ha in mente un disegno preciso al riguardo, ma come sappiamo la posizione tedesca è la base negoziale su cui gli altri Paesi devono confrontarsi. Un disegno per ora centrato su regole più rigorose per la governance economica.
Quello che Berlino ha in mente è di dare alla Commissione europea i poteri per imporre sanzioni automatiche ai Paesi non in regola con i parametri fiscali, senza necessità di un voto dell’Ecofin. Gli Stati membri dovranno cioè rinunciare al diritto di voto garantito dall’art 126 del Trattato. Un nuovo “Commissario alla stabilità” potrà chiedere correzioni di bilancio a ogni Paese anche in via preventiva. In questo caso, modificando l’art 121, solo una maggioranza qualificata potrà sollevare il Paese interessato.
La minoranza di blocco è tale che la Germania e un paio di altri Paesi saranno sufficienti a farla valere. In caso di violazioni ripetute, ogni Paese o la stessa Commissione potranno denunciare il Paese in difetto presso la Corte di giustizia europea. Il piano tedesco prevede di legare la sorveglianza fiscale a quella macroeconomica. Prevede soprattutto la creazione di un Fondo monetario europeo e l’elezione diretta del presidente della Commissione europea. Il profilo politico delle istituzioni comunitarie sarebbe molto rafforzato, chiudendo la strada a un ritorno all’Europa degli accordi tra i governi.
Il presidente del Consiglio Ue e ora dell’Eurogruppo Hermann Van Rompuy ha già ricevuto il mandato di preparare un rapporto per il Consiglio di dicembre. Ci sono ovvie difficoltà: procedere a 27 (Ue) è più incerto che decidere a 17 (Euroarea) e le modifiche del Trattato potrebbero richiedere una procedura semplificata o invece imporre la riapertura di una Convenzione. È possibile che si scelgano entrambi i sentieri una Convenzione “veloce” a 27 e prima ancora un’approvazione da parte dei 17 Paesi dell’euro area.
L’obiettivo è di completare il percorso istituzionale entro il 2013. Lo stesso anno entro il quale all’Italia è imposto di raggiungere il pareggio di bilancio e di rispettarlo da allora in poi anche attraverso l’adozione di tale obiettivo in Costituzione. Per affrontare questo difficile biennio, l’aiuto della Bce sarà essenziale e sembra probabile che un criterio informale sia quello di contenere il differenziale tra BTp e Bund sotto i 4 punti o in ragione degli adempimenti del Governo italiano.
In questa prospettiva, l’euro area nel 2013 può diventare una comunità in cui i debiti pubblici scenderanno automaticamente. La domanda dei mercati si confronterà con un’offerta di titoli calante, l’onere del debito scenderà. Da allora inoltre nessun paese dovrebbe temere di portare le conseguenze dei debiti altrui. Il costo politico della convivenza fiscale nella stessa area monetaria sarebbe molto ridotto. L’ipotesi allora di emettere eurobonds o integrare i governi economici diventerebbe una opportunità concreta e poco rischiosa.
In questa visione incoraggiante si inserisce il tassello cruciale della vicenda italiana appesa alle modestie della politica interna. L’Italia resta il Paese che più degli altri può far cadere l’intero progetto. Senza il coraggio di affrontare i prossimi difficili due anni con la visione necessaria, l’Italia manderebbe in frantumi una prospettiva storica per sé e forse per il mondo.
A piccoli passi un’altra Europa
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