• mercoledì , 27 Novembre 2024

Mossa sullo sviluppo e l’America approva

Se Mario il prussiano si scopre «americano» Obama chiede un contributo più attivo della Banca europea per evitare il contagio.
«Un vero prussiano» lo definisce l’ex premier Giuliano Amato quando spiega,in incontri con opinion leader stranieri, che il nuovo capo della Banca Centrale Europea non si farà condizionare dal suo passaporto nel fissare la rotta dell’ Istituto. Ma, più che ai tedeschi, il Mario Draghi che a 48 ore dal suo insediamento nell’ Eurotower di Francoforte riduce i tassi e dà la sensazione di avere già fermamente in pugno il timone della politica monetaria piace agli americani. Il Wall Street Journal tira fuori un vecchio motto sportivo («è per questo che scendi in campo e te la giochi») per esprimere il suo compiacimento davanti al risultato a sorpresa della prima partita disputata da Draghi. E il New York Times ricorda ai suoi lettori che il nuovo banchiere d’ Europa ha studiato al Massachusetts Institute of Technology di Boston. Il governo Usa è comprensibilmente più cauto nei giudizi («Non commentiamo le decisioni della Fed sui tassi, figuriamoci se possiamo fare apprezzamenti su quelle di una banca centrale straniera», taglia corto il sottosegretario al Tesoro, Lael Brainard), ma poi lei stessa e il numero due del Consiglio per la Sicurezza nazionale Ben Rhodes confermano che nel corso del G20 Barack Obama ha chiesto un ruolo più attivo dell’ Istituto ora guidato da Draghi nella costruzione del cosiddetto firewall : il cordone sanitario che dovrebbe mettere al sicuro le banche europee evitando il rischio che il «contagio greco» arrivi fino alla Spagna e all’ Italia. E un alto funzionario della Casa Bianca sottolinea che «senza entrare nel merito delle decisioni della Bce, non si può non notare che la scelta dell’ Istituto europeo sui tassi, oltre ad essere convergente rispetto alle scelte fatte negli ultimi anni dalla Federal Reserve, indica una maggior attenzione ai problemi della crescita». Insomma, una mossa che in qualche modo fa risaltare lo «spostamento del pendolo» dal debito allo sviluppo:l’unico risultato significativo che Barack Obama sembra in grado di poter conseguire nel vertice che si concluderà oggi a Cannes. Un anno e mezzo fa, al G20 di Toronto, il presidente americano – preoccupato più dall’ alta disoccupazione che dal deficit Usa – chiese con insistenza politiche coordinate concentrate sull’ obiettivo della crescita, ma fu sconfitto: soprattutto su pressione degli europei, il comunicato finale fu centrato sull’ impegno a dimezzare i deficit pubblici degli Stati membri del «direttorio» mondiale entro il 2013 e a stabilizzare il rapporto tra debito e reddito nazionale entro il 2016. Oggi, pur senza sottovalutare l’ emergenza debito pubblico – quella che rischia di mandare a fondo mezza Europa – è più netto il riconoscimento che, senza azioni capaci di riattivare il meccanismo della crescita del reddito, non si riuscirà a venire a capo nemmeno del problema dell’ indebitamento. E su questo proprio Draghi ha detto parole chiare nella sua prima conferenza stampa da «governatore d’ Europa» quando ha spiegato che, davanti al rallentamento della congiuntura e alla prospettiva di una «modesta recessione» che potrebbe materializzarsi in Europa nei prossimi mesi, non aveva altra scelta che intervenire sul costo del denaro. Così facendo, ha accettato il rischio di farsi «beccare» da qualche falco con l’ accusa di essere più sensibile alla crescita che al controllo dell’ inflazione. In realtà, però, Draghi non ha fatto troppa fatica a tenere compatti i 23 membri del board della Bce dimostrando che, in presenza di un’ economia estremamente debole che terrà bassi costi e salari, i rischi di una fiammata dell’ inflazione sono prossimi allo zero. E garantendo che quello della sottoscrizione di titoli del debito pubblico dei Paesi in crisi sarà un intervento limitato e non permanente. Alla fine la ripresa d’ iniziativa della Bce e il maggiore accento sulla crescita fanno gioco a Obama (nel confronto interno coi repubblicani, contrari a politiche di sostegno all’ economia) ma non dispiacciono nemmeno ai leader europei: lo spostamento dell’ attenzione su Francoforte ha reso meno evidente l ‘ impasse di Cannes su alcuni temi cruciali. Perché, se è vero che Obama ha lodato la Ue per gli impegni presi la scorsa settimana sull’ ormai famoso firewall , è anche vero che la sua costruzione è ancora assai nebulosa. Si parla di un maggior impegno del Fondo monetario internazionale, di un aiuto della Cina (poco gradito agli Usa anche perché in cambio Pechino chiede di essere riconosciuta come piena «economia di mercato») e anche di una trasformazione dell’ Efsf, il fondo «salvastati», in modo da farlo funzionare come una banca. Disegni estremamente complessi che richiedono un’ incredibile quantità di passaggi politici e istituzionali. E anche su una questione in teoria più semplice – l’ introduzione della «Tobin Tax», un tributo su tutte le transazioni finanziarie – il trionfalismo di Sarkozy, che ha parlato di convergenza di Obama sulla proposta, è stato subito frenato dalla Casa Bianca. Consapevoli delle esigenze elettorali del presidente i suoi uomini riconoscono che Wall Street deve fare la sua parte di sacrifici per trainare l’economia fuori dalla crisi, ma sui modi ribadiscono che il modello americano resta diverso da quello europeo.

Fonte: Corriere della Sera del 4 novembre 2011

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