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Fra i Grandi nessun accordo sulla “cassa”

Appena sbarcato sulla Croisette, Barack Obama aveva detto di essere venuto a Cannes sperando di vedere qualche bel film. Ma ieri, quando ha salutato tutti dal palco del Theatre Debussy, quello riservato alle prime più attese del festival, ha ammesso che il G20 francese, il quinto della sua gestione, è stato per lui soprattutto un crash course sull’ Europa delle mille istituzioni e dei percorsi decisionali tortuosi. Il presidente americano ha preso per buoni gli impegni sottoscritti la scorsa settimana a Bruxelles dai partner della moneta unica e si è detto convinto che alla fine l’ Europa ce la farà. In realtà, però, il vertice che doveva disinnescare la mina dell’ eurozona e rilanciare la crescita mondiale ripristinando il clima di fattiva cooperazione svanito dopo il summit di Londra del 2009 ha galleggiato per due giorni su un limbo di buone intenzioni. Niente liti, tante belle parole dai «volenterosi» del mondo, ma nessuna decisione di spessore. Un vuoto evidenziato da dichiarazioni finali – da quelle del capo della Commissione europea, Barroso, al «padrone di casa» Sarkozy, allo stesso presidente americano – che hanno finito per convergere su un’ unica novità: l’ impegno di un premier in bilico di un Paese in difficoltà a sottoporsi «volontariamente» alla supervisione del Fondo monetario internazionale. Placato in questo modo Silvio Berlusconi, furioso per i titoli che lo dipingevano come un premier messo sotto tutela dal Fmi, per il resto l’ Europa ha giocato a rimpiattino col resto del mondo. Non volendo assumersi nuovi oneri, la Germania aveva cercato di coinvolgere varie potenze emergenti nella gestione dell’ Efsf (il Fondo salva Stati). Ma la stessa cancelliera tedesca Angela Merkel ha ammesso ieri sera che Cina e Russia, almeno per ora, hanno declinato l’ invito. Quanto al Fondo monetario, sarà sempre più protagonista dei salvataggi, ma la discussione sulle nuove risorse da mettere in campo sembra rinviata al G20 finanziario del febbraio 2012. L’ irritazione dei mercati che ieri sono tornati a punire l’ Italia può non scuotere più di tanto il Berlusconi che continua a dirsi tranquillo perché, tanto, «la speculazione è una moda passeggera», ma deve far riflettere chi, avendo investito sulla formula del G20 come nuovo fattore di stabilizzazione globale e di promozione della prosperità, adesso fa i conti con un bilancio assai magro. Contassero solo i principi, Obama potrebbe anche tornarsene in America soddisfatto. Un anno e mezzo fa, al vertice di Toronto, la sua richiesta di puntare sulla crescita e l’ occupazione era stata respinta dagli europei che, d’ intesa con la Cina, avevano fatto prevalere gli impegni antideficit. Un mese fa, davanti al diffondersi del «contagio greco», il ministro del Tesoro Usa Tim Geithner era andato a un vertice Ue in Polonia per sollecitare l’ Europa a correre ai ripari varando un massiccio piano anticrisi. Geithner era stato sbeffeggiato dai partner di Oltreatlantico che però, poche settimane dopo, sono stati costretti a seguire proprio la linea indicata da Washington. E il documento finale approvato ieri dal G20 a Cannes, oltre a riportare l’ accento sui temi della crescita come chiesto dalla Casa Bianca, esprime apprezzamento per la decisione della Cina di accelerare il processo di rivalutazione della sua valuta. Un gesto di buona volontà compiuto dal gigante asiatico dopo che gli Stati Uniti hanno rinunciato a un pressing che tanto aveva irritato Pechino. Ma, così come l’ Europa a caccia di aiuti delle nuove potenze economiche, anche Obama aveva bisogno di tornare da Cannes con ben più di un successo tattico: sperava in un grand plan capace di stabilizzare davvero il Vecchio Continente, arginando turbolenze che minacciano anche la già debolissima congiuntura americana. Non c’ è riuscito perché, oltre che di una scarsità di risorse, questo G20 zeppo di statisti soffocati dai condizionamenti politici interni soffre anche di una scarsità di leadership. E così, dopo «Supermario» Draghi che taglia i tassi europei, sul palcoscenico sono saliti i «supertecnici» del Fondo, tempio redivivo del multilateralismo.

Fonte: Corriere della Sera del 5 novembre 2011

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