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Il vero conto della crisi Usa: 7.700 miliardi di dollari

I maxi-aiuti della Fed.Il conto record della liquidità immessa dalla Fed per aiutare gli istituti Usa durante la crisi del 2007-2009.
7.700 miliardi di dollari di liquidità immessi dalla Federal Reserve, la Banca centrale Usa, nel sistema finanziario americano durante la crisi del 2007-2009: una cifra pari alla metà del Pil americano, 11 volte il TARP, il criticatissimo fondo “salvabanche” varato nel 2008 dal governo Bush e poi amministrato dal ministro del Tesoro di Obama. Soldi che hanno evitato il “meltdown” del sistema, ma hanno procurato agli istituti di credito americani extraprofitti stimati in 13 miliardi di dollari. La Fed aveva cercato in tutti i modi di non rendere pubblici numeri dettagliati degli interventi senza precedenti varati per tamponare una situazione anch’ essa senza precedenti. Sosteneva che le cifre degli aiuti ricevuti da ogni singola banca avrebbero potuto accentuare l’ instabilità degli istituti più vulnerabili. Ma alla fine, dopo una battaglia legale durata due anni, l’ hanno spuntata i giornalisti di Bloomberg: invocando anche il “Freedom of Information Act”, lo strumento più efficace della legislazione sul libero accesso alle fonti d’ informazione, hanno ottenuto 29 mila pagine di documenti relativi a 21 mila transazioni finanziarie, ora sintetizzati in un studio che verrà pubblicato a gennaio da Bloomberg Markets Magazine. Il quadro che ne viene fuori è impressionante: la Fed aveva fornito dati aggregati dei suoi interventi, ma non era andata troppo in profondità, né aveva parlato delle singole banche. Ora si scopre, ad esempio, che nel 2008, mentre Wells Fargo comprava il gruppo Wachovia (presentando ai suoi azionisti l’ operazione come un buon affare), la Fed sosteneva la stessa Wachovia, dissanguata dalla fuga dei risparmiatori impauriti, con due “emergency loans”: due prestiti “segreti” per un totale di 40 miliardi di dollari. E JP Morgan Chase – la più solida delle grandi banche di Wall Street che ha sempre sostenuto di aver accettato di malavoglia pochi fondi di salvataggio, su pressione del Tesoro – in realtà è arrivata ad attingere fino a 40 miliardi dalla “finestra” d’ emergenza offerta dalla Fed. Il rapporto ha fatto scalpore in Congresso dove molti parlamentari hanno sostenuto che, se avessero conosciuto le reali dimensioni degli interventi, avrebbero raddoppiato gli sforzi per varare una riforma dei mercati finanziari più incisiva di quella che è passata, insistendo di più sulle norme necessarie per disinnescare la mina degli istituti “too big to fail”: quelli troppo grossi per essere lasciati fallire. «Nulla da scandalizzarsi», commenta la rivista The Atlantic : la Fed si è presa grossi rischi, ma alla fine non ha perso soldi, i prestiti sono stati rimborsati. Ci sono state ingiustizie, qualche banchiere che andava punito l’ ha fatta franca, ma è questo «il prezzo da pagare per aver evitato l’ Armageddon». Altri sostengono invece che, grazie al prolungato segreto, i banchieri sono tornati, indisturbati, alle vecchie pratiche: non solo hanno ricominciato ad attribuirsi megacompensi, ma sono riusciti a sottrarsi a ogni “cura dimagrante”. E gli istituti maggiori hanno addirittura accresciuto ancor più le loro dimensioni: oggi le sei maggiori banche americane (JP Morgan-Chase, Bank of America, Citigroup, Wells Fargo, Goldman Sachs e Morgan Stanley) controllano un volume totale di “asset” pari a 9.500 miliardi di dollari: il 39 per cento in più rispetto all’ era pre-crisi.

Fonte: Corriere della Sera del 29 novembre 2011

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