Con qualche ottimismo, potremmo dire che la strada della soluzione della crisi europea è aperta e che tutti gli strumenti necessari sono finalmente disponibili: leader nazionali credibili, fondi di salvataggio adeguati, basi giuridiche per una vera unione fiscale e un allentamento quantitativo del credito. Se l’emergenza sui mercati finanziari sarà arginata, ci ricorderemo di questi giorni come di un momento di svolta per la storia europea.
La soluzione di emergenza alla crisi dei mercati è anch’essa visibile. Dal maggio 2009 a oggi non è molto cambiata: come allora si tratta di convincere gli investitori che finanziarsi presso la Banca centrale europea all’1% per acquistare titoli italiani al 6% non è una pessima idea. Soprattutto oggi che i finanziamenti della Bce hanno durata triennale. Le misure annunciate giovedì da Mario Draghi sono piaciute poco ai mercati, ma restano il miglior coniglio che era possibile estrarre dal cilindro, in assenza del cilindro.
Per disporre del copricapo era necessario infatti attendere il vertice Ue di ieri. Anche in questa circostanza la prima reazione è stata di delusione perchè il comunicato dei capi dell’eurozona di venerdì mattina rafforzava la cornice fiscale necessaria a evitare una futura crisi, ma sembrava ancora elusivo sulle soluzioni immediate alla emergenza in corso. Un secondo sguardo fa leggere il comunicato diversamente.
Le misure annunciate non garantiscono, ma fanno intravvedere, il muro di denaro che i mercati chiedono alle autorità europee. Risorse addizionali per 200 miliardi saranno fornite attraverso il Fondo monetario; al Fondo di salvataggio (Efsf) sarà applicata la leva già decisa a ottobre ma di cui si hanno pochi dettagli; le assurde clausole sulle perdite degli investitori privati in titoli dell’euro area sono state abolite; infine viene anticipato forse a luglio 2012 il Fondo permanente di stabilità (Esm). Se tutto va bene, applicando una leva di due all’Efsf, saranno disponibili mille miliardi, a cui si aggiungono, sempre se tutto va bene le risorse del Fondo monetario più altrettanti da creditori stranieri. Se fossero 1.400 miliardi, basterebbero a controllare anche una crisi di Italia e Spagna.
Quanto all’Esm, il futuro fondo di stabilità, l’anticipo al luglio 2012 avvicina il momento in cui i paesi dell’area euro metteranno in comune capitale che rappresenta una garanzia “comune e condivisa”: il principio di fondo di un’unione fiscale che non sia solo limitazione dei rischi fiscali, ma messa in comune delle risorse e delle responsabilità. Un passaggio che potrebbe rivelarsi storico per l’Europa e che mette in una luce diversa il faticoso percorso verso l’integrazione politica europea tracciato dalla Germania negli ultimi due anni.
Il presidente Monti ha sottolineato dopo il vertice di Bruxelles che l’Italia ha fatto la sua parte nella soluzione della crisi. Bisognerà però attendere fino a marzo 2012 perchè l’Europa faccia la sua. E il fatto che gli sforzi nazionali non siano accompagnati in parallelo da un più visibile sforzo corale rischia di essere fonte di problemi politici a entrambi i livelli: nazionale ed europeo. L’Italia dovrà aggrapparsi ancora più forte al recupero di credibilità appena avviato, per convincere i mercati.
L’incognita maggiore resta la transizione verso il momento in cui l’Efsf sarà pienamente attrezzato e la strada per l’unione fiscale sarà evidente a tutti. Un’accelerazione era contraria alla visione tedesca. La crisi dell’euro infatti viene ancora affrontata dalla Signora Merkel come un’equazione lineare, fatta di addizioni e sottrazioni. Berlino dà della crisi una spiegazione unica, semplice e sbagliata: è colpa dei disavanzi fiscali di alcuni stati che hanno vissuto al di sopra dei loro mezzi. Se Merkel riconoscesse che la crisi nasce invece da un intreccio di cause, accetterebbe anche che non c’è nulla di lineare nella soluzione a tanti fattori di debolezza: banche, debiti sovrani, divari competitivi, rischi di investimento, difficoltà politiche interne ed europee. Infatti la crisi si muove da 18 mesi per salti: contagi, equilibri multipli e cambi di regime. Non è consigliabile rinviare continuamente la soluzione di un problema che procede per peggioramenti improvvisi.
Rinviare a marzo 2012 i segnali espliciti di tenuta dell’area euro trascura infatti la possibilità che debiti bancari e debiti sovrani si avvitino uno sull’altro o che una recessione moderata si trasformi di colpo in depressione. Sono noti gli ostacoli nel rinnovo del debito pubblico italiano nei primi mesi dell’anno e le crescenti difficoltà delle banche europee che possono produrre un blocco del credito e una caduta dell’attività economica. Ad abbassare questi ostacoli servono le misure non ordinarie annunciate da Draghi giovedì e che assomigliano molto a un allentamento quantitativo con data di scadenza. Dietro il confronto interno alla Bce, definito «vivace» da Draghi, si intuisce l’eco delle proteste veementi della Bundesbank. Un danno collaterale di cui bisognerà tenere conto, così come dell’isolamento della Gran Bretagna. Un prezzo alto da pagare per risolvere l’ultimo elemento necessario a una soluzione duratura: una migliore regolazione dei mercati finanziari, che eviti il ripetersi degli squilibri da cui la crisi è stata originata. Un accordo deve essere trovato per evitare complicazioni istituzionali che siano d’ostacolo alla realizzazione della nascente unione politica nell’euro area secondo uno spirito comunitario.
La via d’uscita per i mercati
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