• domenica , 22 Dicembre 2024

L’euro non si salva se non c’è democrazia

I leader dell’Eurozona hanno fatto le ore piccole, ancora una volta, per raggiungere un accordo che aggiunge qualcosa alle difese finanziarie, ma probabilmente non abbastanza, mentre dispone nuovi draconiani rafforzamenti della disciplina di bilancio e, soprattutto, lo fa con modalità che aprono nuove fratture nella struttura istituzionale dell’Unione.
Sulle difese finanziarie, la difficoltà era, e resta, una fondamentale differenza d’interpretazione. La Germania e i paesi nordici «virtuosi» pensano che la crisi del debito sia imputabile esclusivamente ai comportamenti lassisti dei paesi sotto attacco; ma questi, che nel frattempo hanno adottato misure spesso draconiane per correggere gli squilibri di bilancio, argomentano che vi è una dimensione «di liquidità» dei mercati che è indipendente dai loro comportamenti. Che i mercati li attaccano anche perché manca nel disegno istituzionale dell’Eurozona un prestatore di ultima istanza in grado di offrire sostegno illimitato, con la moneta comune, alle banche e ai debitori sovrani.
Questa tesi ha trovato sostegno, nelle ultime settimane, nel fatto che il contagio si è esteso progressivamente non solo alla Francia, ma anche all’Austria, all’Olanda, alla Finlandia, paesi che hanno situazioni del debito pubblico migliori della Germania e ciononostante debbono pagare un premio d’interesse che si allarga sulle proprie emissioni del debito pubblico. Intanto le agenzie di rating si preparano a togliere la Tripla A alla Francia e iniziano a declassare tutte le banche europee.
Dunque, finalmente, due giorni fa la Banca Centrale Europea ha allentato i suoi freni troppo stretti, portando il tasso d’interesse all’1 per cento, dimezzando il coefficiente di riserva obbligatoria delle banche e offrendo alle banche nuovi strumenti di finanziamento illimitato a tre anni. L’intervento sarebbe stato anche meglio accolto dai mercati se il presidente Draghi, in conferenza stampa, avesse valorizzato l’aumento della liquidità, invece di affannarsi a rassicurare l’azionista di riferimento tedesco sul fatto che gli interventi di sostegno ai mercati dei titoli sovrani sarebbero rimasti modesti.
Anche l’Eurosummit ha fatto qualcosa per accrescere i sostegni di liquidità, accettando di fatto che la Bce agisca come agente del Fondo salvastati per le sue operazioni di mercato. Può voler dire – ma al momento non sappiamo – che l’Eurotower offrirà sostegno di liquidità agli interventi del Fondo. Inoltre, i tedeschi hanno rinunciato a scrivere nel trattato e nei regolamenti europei che gli investitori in titoli sovrani dovranno subire delle perdite sui loro averi, sostituendo tale sinistra promessa con l’impegno ad evitare altre ristrutturazioni del debito, dopo quella, inevitabile, della Grecia.
Si accelera la trasformazione del meccanismo temporaneo di assistenza finanziaria (Efsf) in Fondo permanente. Non si sono aumentate le risorse disponibili, ma il linguaggio ambiguo del comunicato lascia aperta la possibilità che le risorse già decise per il nuovo Fondo permanente – 500 miliardi di euro – si aggiungano a quelle disponibili nel Fondo temporaneo già in essere. Si è annunciata, invece, l’intenzione di fornire 200 miliardi di euro di prestiti bilaterali al Fondo Monetario Internazionale, per aumentare le risorse disponibili da quella fonte per il sostegno ai paesi dell’Eurozona in difficoltà. Siccome non ci fidiamo di noi stessi, meglio dare i soldi a un soggetto terzo più affidabile.
Questa è la parte positiva, pur detta a mezza bocca e con mille reticenze. Poi viene quella sulle nuove regole di governance economica, gridata in tre pagine di piombo fuso.
Non bastano il Semestre europeo, le nuove procedure legali già in vigore per il coordinamento delle politiche economiche, con annesse sanzioni e automatismi di attuazione, il Patto europlus. Ora, bisogna scrivere nel trattato le regola costituzionale del pareggio di bilancio – che pure i membri dell’Eurozona stanno già adottando per conto loro – con l’intervento della Corte europea di giustizia a verificarne la trasposizione. I bilanci nazionali dovranno essere preventivamente sottoposti alla Commissione europea, che ne giudicherà la conformità alle regole e agli impegni assunti in sede europea. Ogni piccola deviazione dai programmi deve produrre aggiustamenti automatici delle entrate e delle spese nei bilanci pubblici. Gli stati membri dovranno riferire exante sui programmi di emissione del debito pubblico. Speciali procedure di monitoring verranno applicate ai paesi soggetti alla procedura di disavanzo eccessivo dell’articolo 126 del trattato. E, come se tutto ciò non bastasse, nuove proposte di integrazione fiscale dovranno essere presentate al Consiglio europeo di marzo.
Evidentemente, qui c’è un problema grande come una casa: o facciamo l’unione politica, e centralizziamo le politiche economiche e di bilancio, creando anche nuove strutture politiche di legittimazione, o dobbiamo preservare spazi fruibili per i parlamenti nazionali. Non si può trasformare la politica economica in un coacervo di regole automatiche gestite da un comitato esecutivo di capi di stato autoselezionati e di burocrati della Commissione e della Banca Centrale. La democrazia non è compatibile con un tale assetto.
Questo è anche il motivo per cui le proposte di revisione accelerate del trattato frettolosamente imbastite dal presidente Van Rompuy non sono accettabili. Si è immaginato di introdurre le nuove regole attraverso una modifica del Protocollo numero 12 del trattato, il quale regola l’applicazione della procedura dei disavanzi eccessivi; in tal modo si semplifica il negoziato e si spera di evitare le procedure nazionali di ratifica. Ciliegina sulla torta: vista l’indisponibilità del Regno Unito, tutto si farebbe con accordo intergovernativo fuori del quadro istituzionale dell’Unione. Se e come i due trattati potranno continuare a coesistere, se il mercato interno potrà sopravvivere,resta da vedere.
Non sarò certo io a contestare le esigenze di rigore finanziario e di buone politiche economiche per l’integrazione. Ma, per convincere i suoi elettori che la moneta comune richiede anche strumenti di sostegno finanziario e di liquidità, la Germania sta deformando gli assetti istituzionali in maniera pericolosa. Anche forte di un nuovo governo rigoroso e credibile, è giunto il tempo che l’Italia faccia sentire la sua voce e fermi questa deriva.

Fonte: Affari e Finanza del 12 dicembre 2011

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