La sua decisione di finanziare le banche ha sollevato molti dubbi. Ma il governo tedesco gli ha impedito di comprare direttamente titoli di Stato. Allora lui cerca di salvare la baracca facendo in modo che se li comprino gli istituti finanziari.
Solo un anno fa confidava agli amici di non avere alcuna chance per Francoforte: “Piuttosto che un italiano alla Banca centrale europea i tedeschi metterebbero qualsiasi caprone di un Paese alleato”. Forse le parole di Mario Draghi erano ispirate dalla scaramanzia, ma effettivamente le sue chance di spiccare il volo verso l’Eurotower allora erano piuttosto basse.
Poi però in poche settimane lo scenario è cambiato. Il candidato tedesco Axel Weber si è dimesso dalla Bundesbank, di cui era presidente, e nessun altro personaggio, tra le possibili alternative, aveva lo spessore e l’esperienza di Draghi. Un italiano, sì, e in quanto tale per niente affidabile, agli occhi teutonici, come supremo guardiano della stabilità dell’euro. Ma anche un pragmatico civil servant, ben inserito nel mondo globale della finanza e degli organismi che la regolano. O meglio tentano di farlo. Benvoluto dagli americani. Abile anche a comunicare tanto che, appena si è profilata una possibilità di successo nella corsa all’Eurotower, Draghi ha rilasciato un’intervista alla “Frankfurter Allgemeine Zeitung”, il quotidiano della business community tedesca, da cui veniva fuori il ritratto di un falco, custode dell’ortodossia monetarista.
Una volta sbarcato a Francoforte, l’allievo di Federico Caffè e di Franco Modigliani non ci ha pensato troppo. Fedele al pragmatismo, ha abbassato i tassi d’interesse due volte nel giro di un mese. D’altra parte, quando è in arrivo una recessione a distanza di due anni dalla precedente, è l’unica cosa che un banchiere centrale deve fare senza esitazioni.
Ma l’ostacolo più insidioso per Draghi era (ed è) rappresentato dalla sfiducia dei mercati internazionali verso i titoli di Stato dell’Eurozona e di alcuni Paesi, tra cui l’Italia, in particolare. Gli investitori vendono a man bassa i Btp facendone scendere il prezzo e quindi aumentare il rendimento. Si profila un’impennata del costo del debito pubblico e si rischia di non riuscire a rinnovare la montagna di titoli in scadenza. Molti spingono perché sia la Bce a salvare i Paesi nel mirino comprando i loro bond sul mercato. Ma i tedeschi e i loro alleati non ne vogliono sapere.
Draghi sceglie una strada intermedia. Compra titoli, non molti, il massimo che può fare senza irritare Berlino. E spalanca le sue casse alle banche che possono scontare qualsiasi titolo per ottenere in cambio liquidità a basso prezzo anche per tre anni. La scommessa è che in questo modo siano proprio le banche a togliere i governi dai pasticci, non solo finanziando l’economia che si avvia alla recessione ma anche comprando titoli di Stato nella misura necessaria a evitare guai grossi. Supermario salva le banche e le banche salvano i governi: perfetto, se i mercati si convincono che il piano funzionerà. Altrimenti ci vorrà un altro colpo d’ala.
Cosa sta cercando di fare Draghi
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