• sabato , 23 Novembre 2024

“Il piano salva-euro a termine. Avrà una scadenza di 5 anni”

Il documento riservato di Barroso ai 26 Stati Ue: difendiamo lo spirito comunitario.
Il «fiscal compact» come lo yogurt. La Commissione Ue vuole attribuirgli una scadenza, sostiene che «entro cinque anni» dall’entrata in vigore del Patto di Bilancio, varato a ventisei (senza Londra) il 9 dicembre, sia necessario «lanciare un’iniziativa che incorpori la sostanza dell’accordo nella cornice dell’Unione europea». Lo chiede per amore dello spirito comunitario, per evitare sovrapposizioni col diritto Ue, e per mettere una carica a tempo sotto il treno delle velleità intergovernative guidato da tedeschi e francesi. «Facciamolo pure strano», sussurra Bruxelles. Ma poi è meglio tornare sulla via maestra dei padri fondatori.
Nelle sette pagine della memoria che i servizi del presidente Josè Manuel Barroso hanno messo sul tavolo della grande trattativa sulla nuova intesa SalvaEuro c’è tutta la paura di vedere incrinato ciò che, a fatica, l’Unione è riuscita a costruire sinora. E’ un documento di oculata difesa, quello della Commissione, scelta inevitabile così come quella dell’Europarlamento che – anche lui favorevole ad una scadenza quinquennale ha optato per un attacco ambizioso, invocando più coinvolgimento e controllo da parte delle attuali istituzioni comunitarie, oltre che la solidarietà d’un fondo comune per aiutare i paesi indebitati e la definizione di un percorso che arrivi agli eurobond odiati dai tedeschi.
La trattativa decolla venerdì, giorno in cui gli sherpa dei governi vedono nuovamente con le istituzioni europee e i tre rappresentanti di Strasburgo, il tedesco Elmar Brok (Ppe), l’italiano Roberto Gualtieri (Pd) e all’ex premier belga Guy Verhofstadt (LibDem). Il tempo stringe, la crisi attanaglia l’Eurozona recessiva. Gli Stati hanno inviato le loro memorie, quella italiana risulta invocare più coordinamento senza ulteriori vincoli di bilancio. Cosa che, in linea col premier Monti, auspica anche la Commissione Ue, convinta che il «fiscal compact» non debba modo estendere lo spettro della legislazione esistente: «Un accordo intergovernativo fra gli Stati non deve contenere alcuna nuova procedura di coordinamento e vigilanza, né istituire nuovo organismo di monitoraggio che potrebbe interferire con quelli che agiscono secondo gli attuali trattati».
Non andare oltre i Trattati, e quindi oltre i poteri delle istituzioni, è dunque la prima avvertenza di Barroso. E non spingersi oltre il mandato che i leader hanno attribuito al Fiscal compact, «perché ogni tentativo di allargarne il raggio d’azione porterebbe inevitabilmente ad un ritardo nel processo negoziale e, peggio, solleverebbe dubbi sulla solidità giuridica dell’accordo nei confronti del diritto comunitario». I sette cambiamenti proposti vanno in questo senso. Circoscrivere i lavori e, come sottointeso, anche la portata di un patto di cui pochi, oltre i tedeschi, comprendono il senso, visto che ripropone in una forma intergovernativa questioni che l’Ue ha già affrontato con atti di diritto secondario.
Lo si capisce dall’emendamento numero uno, laddove recita che «il coordinamento delle politiche deve andare mano nella mano con la convergenza», termine quest’ultimo assente dalla bozza del 9 dicembre. Bruxelles si preoccupa per i rischi di sovrapposizione e invita a «tener conto» delle sue intenzioni di presentare proposte legislative. E’ una questione di coerenza, il che porta all’invito a «non costruire forme di coordinamento economico parallele alle esistenti», comandamento che vale per le istituzioni, di cui non se ne vogliono di nuove. Riduciamo le anomalie del «Compact», sembra dire la Commissione che, in questo, si ritrova con l’Europarlamento che vuole dialogo e solidarietà). La soluzione equilibrata del duello nel nome della stabilità dell’euro passa di qui, dalla voglia di unirsi e favorire un ritorno alla normalità non solo giuridica. Frau Merkel permettendo.

Fonte: La Stampa del 4 gennaio 2012

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