Le prospettive per il 2012 appena iniziato non sono incoraggianti. Soprattutto per leurozona. Dopo un tasso di crescita del Pil dell1,6%, secondo i preconsuntivi 2011, le stime sono per una contrazione media del Pil dello 0,5% che sarebbe, però, marcatamente ineguale: la Germania e gli Stati a essa strettamente agganciati avrebbero un tasso di aumento leggermente positivo, mentre altri segnerebbero un vero e proprio tonfo. Per lItalia – come è noto – le previsioni del Centro studi Confindustria (Csc) segnano una contrazione dell1,6%; altri centri di analisi giungono a ipotizzare una marcia indietro del 3%, ossia una recessione analoga a quella del 2009.
Laspetto più grave non è tanto landamento nellanno appena iniziato, ma quali le stime della durata del ciclo negativo. Secondo il capo del servizio di analisi finanziaria di Citigroup, Tobias Levkovich, gli europei si stanno scavando la fossa con le loro stesse mani: ossia, stanno adottando politiche che potranno aggravare e far perdurare la recessione. Attenzione, un rallentamento sarebbe stato comunque nelle carte a ragione delle profonde trasformazioni delleconomia internazionale – per la prima volta in tre secoli il gruppo di Paesi atlantici (Ue e Usa) non hanno il monopolio dellinnovazione tecnologica – e anche una recessione era dattendersi in seguito allaccumularsi di un vero e proprio Himalaya di debito sovrano.
Tuttavia, a queste determinanti si aggiunge la convergenza di politiche sostanzialmente deflazioniste promosse nellambito delleurozona. Allindomani della manovra Monti in Italia, una serie di misure analoghe sono state varate in Spagna; in Grecia, Irlanda e Portogallo si è alle prese con politiche analoghe da due anni; anche la Francia si sta avviando sulla stessa strada. Charles Wyplosz, Professore di Economia internazionale allIstituto di Alti studi internazionali di Ginevra prospetta un decennio o un ventennio senza crescita per leurozona se non ci sarà una virata di bordo.
In effetti, laccordo tra 26 Parti Contraenti (ossia tutti i 27 dellUe meno la Gran Bretagna) che dal 17 dicembre si sta negoziando a Bruxelles, in seguito al Consiglio europeo del 9 dicembre, potrebbe, se non corretto prima della conclusione della trattativa, essere la cornice per unEuropa a crescita zero (ove non negativa) per diversi anni. Il 29 dicembre, il Governo Monti ha proposto una serie di modifiche che alcuni organi di stampa, ieri, non hanno interpretato con precisione o perché avevano unicamente la lettera di trasmissione e un sunto degli emendamenti o a ragione del carattere molto tecnico-giuridico dei testi.
Le modifiche proposte dalla diplomazia economica e finanziaria sono chiosate in rosso con commenti al margine in neretto su fondo azzurro o amaranto (i due colori distinguono limportanza delle osservazioni) delle 12 pagine della bozza di accordo iniziale del 17 dicembre. Il punto centrale è larticolo 4 della bozza di accordo. Nella versione presentata a metà dicembre alle Parti Contraenti prevedeva che quando il rapporto tra stock di debito pubblico e Pil superasse il 60% sarebbe stato ridotto a un saggio medio di un ventesimo per anno. Ciò avrebbe implicato per lItalia una manovra di 35-40 miliardi di euro lanno a prezzi costanti per circa ventanni. Anche altre Parti Contraenti coinvolte nel negoziato sarebbero state in serie difficoltà: la convergenza di manovre restrittive avrebbe avvitato leurozona su se stessa.
Alcuni hanno minimizzato la gravità dellimpegno, sostenendo che un obbligo analogo era già in vigore. In effetti, lo è, ma in base a un regolamento (nel lessico comunitario, il No. 1497/67 emendato con il regolamento 1177/2011) che, da un lato, si riferisce alleurozona e non a tutti i 26, da un altro, non prevede sanzioni (previste, invece, nella bozza di accordo), da un altro ancora contempla un gamma di eccezioni (ciclo economico sfavorevole, calamità naturali e altre determinanti pertinenti) e, infine, ha giuridicamente una forza inferiore a quella di un accordo (un trattato internazionale vero e proprio una volta ratificato). La proposta italiana non consiste nel depennare larticolo 4 della bozza (considerato dalla Germania come larchitrave dellaccordo), ma di ampliarlo richiamando proprio il regolamento No. 1177/2011 con le sue clausole di salvaguardia (ossia eccezioni).
Non solo ma, nel testo emendato dallItalia, larticolo 1 sulla disciplina di bilancio prevede che le politiche di rigore lascino spazio di manovra per tenere conto delle esigenze di investimenti pubblici. Inoltre, la valutazione dei bilanci di previsione delle Parti Contraenti, da parte della Commissione europea, dovrà essere equilibrata e tenere conto di tutti gli elementi pertinenti, una frase – si nota correttamente a Bruxelles – che lascia aperta la possibilità di politiche sì severe ma tali da salvaguardare strategie di sviluppo inclusivo che guardino con particolare attenzione alle fasce deboli. Inoltre, secondo un altro punto dellemendamento italiano, le procedure per lesame e valutazione dei bilanci di previsione delle Parti Contraenti da parte della Commissione vengono integrate con quelle del semestre europeo non solo per evitare duplicazioni, ma anche per porre listituzione con sede a Bruxelles nel proprio ruolo tecnico, e non politico, come precisano proposte dellItalia per riscrivere larticolo 8 della bozza”.
In breve, linsieme delle proposte non indeboliscono lunione fiscale, ma la collegano con la possibilità di più marcate politiche di crescita (essenziali comunque per giungere a una riduzione del peso dello stock di debito sul Pil). Ora si pongono due aspetti. Riuscirà lItalia a trovare sufficientemente supporto da parte degli altri negoziatori? Potrà lItalia attuare adeguate politiche di crescita se non si agirà in qualche modo sul tasso di cambio effettivo con cui siamo entrati nellUnione monetaria?
Al primo interrogativo è facile rispondere positivamente: sulla posizione italiana stanno convergendo non solo Spagna, Portogallo, Irlanda e Grecia, ma anche Danimarca, Polonia, Slovenia, la Repubblica Ceca e quelle baltiche. Al tavolo della trattative la Germania è un po una tigre di carta, dato che impostato la propria strategia su quello che gli economisti chiamano un gioco a ultimatum (o tutto o niente). Ora si trova costretta a fare qualche passo indietro.
Più difficile dare una risposta positiva alla seconda domanda. Da un lato, ci siamo dati noi stessi la zappa sui piedi. Da un altro, tranne che non si voglia pensare a un euro a più velocità, è difficile preconizzare altra strada che unallocazione supplementare speciale di eurobonds per diversi anni. Ma gli eurobonds sono ancora un sogno nel cassetto.
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