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Unica soluzione:Stati Uniti d’Europa

Ha fatto bene Barbara Spinelli a sottolineare con evidenti tratti di matita rossa (Repubblica del 18 gennaio) le contraddizioni su Europa e moneta unica in cui è caduto Mario Monti – forse per un eccesso di diplomazia nei confronti della signora Merkel, che comunque non gli ha successivamente risparmiato un secco batti e ribatti con le stesso cancelliere tedesco – contenute in una sua intervista al giornale tedesco Die Welt. In essa il nostro presidente del consiglio sostiene un po’ arditamente che “non c’è nessuna crisi dell’euro” e che la situazione difficile che stiamo vivendo “non è la conseguenza di un difetto del modello europeo”, per poi trarre la conclusione che “non avremo mai gli Stati Uniti d’Europa, anche perché non ne abbiamo bisogno” e che l’Unione Europea basta e avanza. Naturalmente alla figlia di Altiero Spinelli non poteva che dare fastidio l’affermazione secondo cui dell’utopia di Ventotene “non si parla più per la semplice ragione che è stata in gran parte realizzata”, e vedere nelle parole di Monti una sorta di tradimento dell’aspirazione unitaria dei padri fondatori dell’idea stessa di Europa. Ma in realtà il problema va ben al di là del “tradimento ideale”, perché è proprio sul terreno del più brutale pragmatismo che il ragionamento di Monti inciampa. E rischia di indurre l’Italia a commettere un errore esiziale.
Ma partiamo dalla valutazione iniziale: la crisi non è europea. Ciò è vero se ci si riferisce alla crisi finanziaria scoppiata nell’estate del 2007 (mutui subprime), poi diventata nel 2008 crisi del sistema bancario (caso Lehman) e quindi recessione (2009). Quel disastro è nato negli Stati Uniti, ha colpe quasi esclusivamente americane e sulle sue cause ben poco rimedio è stato posto sia dall’amministrazione Obama sia dai vari vertici G8 e G20 che si sono succeduti. Ed è pure vero che le conseguenze di quella crisi mondiale sono all’origine della “crisi europea” che è iniziata agli albori del 2010 quando le agenzie di rating decretarono il primo di una lunga serie di downgrading del debito sovrano greco, e che tuttora stiamo vivendo. Nel senso che per fronteggiare il “nuovo 1929”, soprattutto dal lato della tenuta delle banche, i paesi continentali si sono fortemente indebitati ed è sulla sostenibilità di quel debito che si è innescata la vicenda che Monti giudica extra-europea. Ma se è vero che quella è l’origine, altrettanto vero è che i timori dei mercati circa la non finanziabilità del debito denominato in euro nasce dal congenito difetto dell’eurosistema, quello di avere una moneta unica ma 17 economie diverse regolate da altrettanti stati sovrani. Certo, questa era la condizione dell’euro fin dal suo concepimento nel 2002 dopo un decennio di incubazione. Ma fintanto che le cose andavano bene, del problema si occupava solo qualche economista rompiscatole. Poi con la crisi e l’esplosione del debito, a metterlo in risalto ci ha pensato la speculazione. Che ha cominciato dalla Grecia, poi ha messo nel mirino Irlanda e Portogallo, quindi Spagna ma soprattutto Italia, ma avendo sempre come obiettivo l’euro. Ora, se la speculazione finanziaria internazionale scommette sulla tenuta dell’eurosistema, è difficile negare l’esistenza di una crisi. La quale c’è non fosse altro per l’esistenza stessa della pressione speculativa. E quando questa dura due anni e si fa così arrembante da costringere la Bce a emettere warning quotidiani e i leader europei a riunirsi in continui vertici d’emergenza, dire che il problema è americano appare un tantino fuori luogo. Ma la cosa più importante è che se si parte da una diagnosi sbagliata, non si può che arrivare ad una terapia sbagliata. E dire che di un governo federale sul modello degli Usa non c’è bisogno perché vanno bene gli strumenti di governance che l’Unione Europea si è data significa non aver capito quale risposta i mercati pretendono per togliere la pistola della speculazione dalla tempia dell’eurosistema. Il che rende questa operazione di trasferimento di sovranità dagli stati nazionali ad un governo europeo centrale direttamente eletto dai cittadini non un’utopia spinelliana, ma una ben più materiale necessità.
Sono due anni che va avanti questa storia, perché finora i governi, la Commissione, la Bce (cui però non spetta il compito di entrare nel merito di una questione politico-istituzionale) non hanno detto con chiarezza che occorre andare nella direzione degli Stati Uniti d’Europa. Non lo hanno nemmeno detto, figuriamoci muovere qualche passo in quella direzione. Ora Monti ha teorizzato addirittura il contrario. Forse le sue parole avranno fatto piacere alla Merkel, ma certo non aiutano la formazione di una consapevolezza, prima, e di una volontà, poi, di quale sia il drammatico problema dell’Europa oggi e di come si possa risolverlo prima che sia troppo tardi. In tutti i casi, sarebbe bene che l’Italia finisca di distrarsi – presa com’è tra il risentimento collettivo verso il comandante Schettino e quello corporativo di taxisti e altre categorie – e cominci a discutere di un tema fondamentale per il nostro presente e per il nostro futuro come quello della moneta che abbiamo in tasca.

Fonte: Liberal del 21 gennaio 2012

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