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La dittatura dell’emergenza

In un susseguirsi di ultimatum, la Grecia vive dentro una specie di clessidra. In un clima di grave concitazione, scandito ora dopo ora da scontri di piazza e dimissioni nel governo, il Parlamento di Atene dovrebbe votare domenica sera il pacchetto di austerità. Mercoledì, salvo incidenti, l’Eurogruppo formalizzerà il nuovo pacchetto di aiuti senza il quale la Grecia fallirebbe.
C’è una dittatura dell’emergenza, ma in realtà la clessidra greca dovrà essere girata ancora molte volte. Atene rimarrà sotto la tenda ad ossigeno per anni. Sulla base dei conti attuali, nel 2020 il debito pubblico non arriverà al 120%, ma al 135%. L’ultima analisi consegnata dal premier Lucas Papademos al Fondo monetario riporta che il Pil greco calerà quest’anno del 4-5%, anziché del tre. I partner europei chiedono ai partiti greci di impegnarsi formalmente a rispettare le condizioni anche dopo le elezioni generali di aprile. Dei tre maggiori partiti l’unico che si sottrae è quello che ha meno possibilità di governare. Il quadro in fondo è sia chiaro, sia incognito: la Grecia accetterà le condizioni che ne limitano la sovranità politica in cambio di un salvataggio privo di alternative che durerà dieci anni.
Saranno dunque strane elezioni in aprile per quelli che il quotidiano di Atene “Kathimerini” definisce «politici da dracma». Stiamo parlando certo di politici che hanno nascosto le carte e che hanno usato la minaccia di default sul tavolo dei negoziati come un’arma di ricatto verso i partner. Ma parliamo in realtà soprattutto di milioni di cittadini greci impoveriti che hanno paura del futuro.
Per rispetto delle democrazie bisogna saper uscire dalle categorie generali e guardare ai fatti. Quando la troika (Fondo monetario e istituzioni europee) prescrisse per la prima volta una riforma del lavoro alla Grecia nel 2010, la procedura fu la seguente: la riforma venne scritta tra Washington e Bruxelles, quindi fu portata alla sede ateniese di uno studio legale internazionale in modo che fosse scritta nei termini compatibili con la legge greca. Infine il testo, così com’era, venne consegnato al Governo – allora guidato da Georges Papandreou – in modo che non potesse più essere modificato dal Parlamento. I politici greci nascosero la realtà agli elettori, mentre la dialettica in Europa liquidava il problema del consenso come un danno collaterale. Si scopre oggi che le riforme del primo pacchetto di aiuti alla Grecia non sono ancora state realizzate interamente. Ci si può davvero sorprendere?

Fonte: Sole 24 Ore 11 febbraio 2012

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