Il Vecchio continente è fonte di continue preoccupazioni per gli USA. E l’Italia non si sottrae alle politiche deflazionistiche imposte dalla UE, che peggiorano la situazione.Anche perché le riforme del governo non cambieranno la nostra mentalità.
Non fummo falsi profeti quando, nell’estate 2011, all’inizio della fase più difficile per l’Europa, sostenemmo che l’ipotesi di un crollo dell’euro fosse altamente improbabile, ma i costi per i Paesi più esposti sarebbero stati piuttosto elevati. La Grecia li sta già pagando e molto salati; Irlanda, Portogallo, Spagna e la stessa Italia hanno dato solo un acconto e il resto lo salderanno applicando il fiscal compact.
Da oltre Atlantico crescono le preoccupazioni per le politiche fiscali deflazionistiche UE; essi ritengono che non basti ciò che la BCE di Draghi va facendo. La vecchia Europa è fonte di continue preoccupazioni per l’ex nuovo mondo. Non a caso la prima pagina del Time non parla di un Monti capace di salvare l’Italia, ma l’Europa, e aggiunge un significativo punto interrogativo. Credo che riveli la coscienza che si chiede a Monti una mission impossible.
Sulle dichiarazioni di Monti che le riforme intraprese saranno utili se cambieranno la mentalità degli italiani si è aperto un dibattito interno. La memoria storica del nostro Paese è tale da escludere che l’obiettivo sia corretto, poiché il cambio di mentalità riguarda minoranze composte da evasori fiscali, criminalità organizzata e gestioni pubbliche parassitarie. Nell’incapacità di dare vita a una coalizione che combatta questa alleanza perversa si sottopongono i cittadini a tassazioni eccessive e a ogni genere di complicazioni di vita, fino a costringere un pensionato ad avere un conto in banca anche se non vuole e chi intende gestire contanti a sottoporsi a uno Stato.
Per colpire le minoranze si opprimono le maggioranze che hanno fatto e fanno il loro dovere e che da sempre sopportano in silenzio i sacrifici richiesti, sempre per evitare il baratro. L’idea che per costringerli a comportarsi bene dovessero essere sottoposti a vincoli esterni iugulatori è stata la politica più deresponsabilizzante che si potesse imporre. Von Hayek ce lo ha spiegato bene: l’idea che tutto possa essere sistemato razionalmente è fallace e crederlo induce a forzare soluzioni che aprono la via alla schiavitù.
Così come ha fatto comodo all’Europa indicare l’Italia come il pericolo principale per la sopravvivenza dell’euro, l’UE, che ci mette di suo, sta fungendo da cortina fumogena dei difetti di governance che Stati Uniti, Cina, Germania, Giappone e pochi Paesi che contano negli equilibri geopolitici continuano a voler ignorare, cercando di volta in volta un beggar-my-neighbour (una spalla del vicino su cui poggiare il peso delle colpe).
Gli Stati Uniti danno la colpa alla sottovalutazione dello yuan, mentre creano quantità eccessive di dollari e si rifiutano di riformare il sistema monetario internazionale; la Cina invoca un maggiore ricorso ai diritti speciali di prelievo del FMI, ma fa ben poco per realizzare la proposta, perché sa che deve mettere mano al rapporto di cambio e al libero uso delle riserve ufficiali; la Germania e il Giappone ritengono che possano mantenere il loro ingente surplus di bilancia corrente senza sottoporre a stress i Paesi deficitari e deflazionare l’economia globale.
Il mondo in cui viviamo è però questo ed è con questo che dobbiamo convivere piuttosto che tentare di forzare l’idea dell’«uomo nuovo» che ci perseguita da millenni. Abbiamo bisogno di leader che riescano a contemperare i propri interessi con quelli collettivi. La differenza è che dobbiamo essere coscienti che questi leader ce li scegliamo noi e, quindi, o cambiamo leader o prendiamoci la responsabilità d’averli votati.
Salvare l’Europa? Per Monti una mission impossible
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