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I 50 anni della “Teoria dell’integrazione economica”

Mario Catania, Ministro delle Politiche Agricole e Forestale, è un tecnico. Ma non un agronomo. Od uno specialista di allevamenti oppure ancora di foreste. Nella sua vita professionale, tra via Venti Settembre dove ha sede il dicastero, e la Rappresentanza dell’Italia presso l’UE a Bruxelles, è considerato il maggior esperto di politica, economia e di normativa europea pur in una compagine ministeriale dove gli (ex-neo-post) eurocrati pullulano.
Pare sia l’unico ad essersi ricordati di una ricorrenza importante: i cinquanta anni dalla pubblicazione di The Theory of Economic Integration di Bela Balassa. Balassa era scappato dall’Ungheria nel 1956 e per alcuni era vissuto con una borsa di ricerca conferitagli dal Consiglio d’Europa. In tal scrisse un lavoro che viene ancora oggi considerato precursore di tutto il pensiero sull’integrazione economica di Paesi in una ben definita area geografico. Prima del libro, gli diede fama un articolo sul tema pubblicato dalla rivista scientifica Kyklos. Si sentiva molto europeo – il vostro “chroniqueur” lo ebbe come docente ed amico. Ma se portò via il mondo accademico americano. Si trasferì a Washington dove insegnava economia internazionale al campus di Baltimora della Johns Hopkins Università ed era Senior Consultant della Banca mondiale.
Balassa ha aperto un solco importante, partendo da letteratura precedente (da Haberler a Meade, da Tinbergen a Scitovsky) che, però, aveva poco a che fare con l’integrazione europea (ancora nel grembo degli Dei quando molti di loro scrivevano e pubblicavano). Soprattutto il libro di cinquanta anni fa analizzava gli effetti economici statici e dinamici precorrendo Paul Krugman, il cui Premio Nobel deve molto ove non tutto a Balassa.
Catania ha sulla sua scrivania il saggio di Andrè Sapir pubblicato nell’ultimo fascicolo del Journal of Economic Literature in cui in trenta dense pagine si passano in rassegna critica oltre 200 titoli di letteratura economica sull’integrazione, soprattutto quella europea. Vista alla luce della “teoria” di Balassa, la politica agricola comune ne esce meno male di quel che possa sembrare. Le pagine sull’unione monetaria e sulla crisi dell’eurozona invece dovrebbero essere letti dai suoi dirimpettai di Via Venti Settembre – al Ministero dell’Economia e delle Finanze. In breve, Balassa (e con lui Meade e Mundell, loro il Nobel lo ebbero) avrebbero bocciato senza possibilità di appello o ricorso gli estensori del Trattato di Maastricht in quanto privo degli appigli elementari alla teoria economica. Balassa, in particolare, aveva preconizzato che un “processo squilibrato” (unione monetaria prima dell’unione delle politiche di bilancio e, quindi, dell’unione economica) avrebbe avuto il germe della crisi. Lo ammette lo stesso Sapir pur considerato euro entusiasta nel 1990-92. Oggi – sostiene- o si va verso qualche forma di unificazione politica (ma chi la vuole?) oppure verso un mesto “Bye, bye Maastricht”.

Fonte: Il Riformista del 17 febbraio 2012

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