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Dublino e l’Ue del “déja vu”

Gli irlandesi chiedono un legittimo referendum sul Fiscal Compact che avrà pesanti conseguenze e Berlino frena sul fondo salvastati.La storia si ripete, purtroppo
L’Europa si concede al festival del “Deja Vu”. E’ una coproduzione irlandese-tedesca dal lieto fine meno scontato della trama. Dublino vi contribuisce con la convocazione di un referendum sul Patto di Bilancio chiuso faticosamente dai ventisette a fine gennaio, il Fiscal Compact intergovernativo destinato a blindare il governo della moneta unica. E’ un passo legittimo, che però assumerà tutt’altre valenze e farà tremare un’Unione sempre sfrangiata, anche se all’intesa bastano dodici capitali per poter decollare. Berlino ci mette il rinvio alla decisione, ritenuta da più parti necessaria, di rafforzare la dote del fondo salvastati permanente, l’Esm. Si sperava in un accordo nelle prossime ore. Invece il dossier è uscito dell’agenda.
Adesso bisognerà inventare qualcosa per dare un senso compiuto al vertice dei capi di stato e di governo dell’Ue che si apre domani a Bruxelles. Ci prova il presidente della Commissione Ue, Josè Manuel Barroso, frenetico nello scrivere e dichiarare. Ha deciso di puntare sulla crescita, bene intangibile. Ce ne sarebbe bisogno eccome, l’economica continentale ristagna, il lavoro non c’è e la stabilità appare esile preda. Così il portoghese parla «di momento della verità» e invita i leader «tradurre in risultati concreti le buone intenzioni». Un’impresa.
L’Esm poteva essere la sorpresa da estrarre dal cappello per spazzar via ogni dubbio residuo sulla consistenza delle difese dell’Eurozona e sulla volontà di mantenerle solide. Lunedì la cancelliera Angela Merkel ha tuttavia detto di non vedere una ragione per aumentare la dote del fondo che molti, la Commissione e l’Italia per dirne due, vorrebbero vedere salire da 500 a 750 miliardi. Dal fine settimana si era rincorsa la possibilità che, nell’ambito del Consiglio Ue, si tenesse una sessione dei diciassette dell’Eurozona per cercare di sbloccare la questione. La riunione non è stata convocata. Tutti disperano che possa esserlo.
E’ il solito braccio di ferro vinto dalla Germania, già visto pure questo. La scorsa settimana sembravano disposti ad aprire, poi a Berlino devono aver cambiato idea, consigliati magari dai titoloni della Bild, il vendutissimo quotidiano popolare che cavalca posizioni euroscettiche. Vogliono trattare ancora. «Aspettano che il pacchetto greco va a posto», suggerisce una fonte diplomatica. «Noi restiamo del parere che la crisi dell’Eurozona richieda un parafiamme adeguato – ha detto Olivier Bailly, portavoce della Commissione Ue -. Attendiamo di vedere cosa capiterà nei prossimi giorni e gli sviluppi fra gli stati membri».
Una soluzione chiara sul Fiscal compact avrebbe reso tutto più semplice, sopratutto dopo il sudato via libera che trattato intergovernativo ha ottenuto al parlamento tedesco lunedì. Invece è arrivato il siluro irlandese. Che avvia una nuova campagna referendaria nell’ex tigre verde impegnata a lasciarsi alle spalle la crisi finanziaria grazie al dinamismo economico e ai fondi di Ue e Fmi. Il Taoiseach (primo ministro) Enda Kenny lo ha annunciato in Parlamento, sottolineando di credere che «è nell’interesse irlandese che il Compact venga approvato». I segnali che arrivano da opposizione e euroscettici fanno capire che esiste il rischio che l’esito sia di segno contrario.
A differenza di quanto accaduto nel 2007 con il Trattato di Lisbona, anche una eventuale bocciatura referendaria non bloccherebbe il Patto. E’ stato costruito con una formula strana, è fuori dai trattati Ue, è firmato a venticinque e vale per i diciassette dell’Eurozona. Il testo prescrive che bastino dodici paesi perché funzioni, quindi si potrebbe fare senza Dublino. Tecnicamente sostenibile, sarebbe un esito difficile da assimilare per l’Ue.
Comprensibile che lo spirito della vigilia del vertice sia mesto. Si parlerà controvoglia della Grecia e non dell’Esm. Sul tavolo Spagna e Portogallo a rischio contagio ellenico. Il sasso irlandese agiterà gli spiriti e solo un acuto in materia di crescita potrebbe dare un senso a due giornate che, le esigenze nazionali (un altro “deja vu”), stanno lentamente svuotando di significato.

Fonte: La Stampa del 29 febbraio 2012

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