Entro questa sera sapremo se un numero sufficiente di investitori avrà accettato il compromesso che evita il fallimento di Atene. Chi lavora all’accordo è ottimista e crede che il primo default da 60 anni di un Paese ad economia avanzata possa essere evitato. Ma comunque vada c’è un problema: questa scena finale del thriller, in cui il cattivo si risveglia per l’ultimo assalto prima di essere definitivamente liquidato, purtroppo non è affatto la scena finale.
Da dicembre in poi la liquidità a basso costo della Bce ha evitato una fine cruenta dell’area euro e ha consentito alle banche di compensare le perdite causate dalla crisi, comprese quelle greche formalizzate in queste ore. Tuttavia questo non è stato sufficiente a restaurare condizioni di normalità finanziaria. I 17 Paesi continuano a essere divisi in mercati finanziari nazionali, a dimostrazione che la crisi è ancora latente e la fiducia non è tornata. L’unico denaro che circola da un Paese all’altro è quello dei risparmiatori greci che lasciano le banche del loro Paese e portano i soldi in Germania. Il resto dei capitali, inclusi quelli prestati dalla Bce alle banche, rimane all’interno dei singoli Paesi. L’integrazione finanziaria era uno dei punti di forza del sistema economico europeo, ma dopo anni di scarsa fiducia tra i vari Paesi ha lasciato il posto al rimpatrio dei capitali.
Forse era inevitabile. Il rimpatrio dei debiti pubblici, per esempio, serve a ridurre le quote di debito in mano agli investitori privati stranieri che per tre anni avevano dettato nevroticamente l’altalena degli spread. Ora infatti le oscillazioni sono meno erratiche. Nondimeno la condizione dei singoli Paesi è ancora più paradossale: ora che i capitali rimangono intrappolati in ogni Stato, i sistemi economici e finanziari sono chiusi come negli anni 70, ma a differenza di allora i governi non controllano più una moneta nazionale né la politica monetaria.
Le conseguenze sono già visibili: i risparmiatori tedeschi non volendo più investire in Grecia o Spagna stanno acquistando case nel loro Paese creando inflazione proprio come avveniva negli Stati della periferia prima della crisi. Nei Paesi in deficit di risparmio avviene invece il contrario: per non far uscire altro risparmio devono accettare una caduta della crescita e dei prezzi. In assenza di fiducia che rimetta in circolo i capitali all’interno dell’area euro, gli aggiustamenti delle economie nazionali sono i più penosi che sia dato immaginare.
Che l’aggiustamento sia penoso lo sappiamo bene noi italiani. La fiducia nel Paese sta tornando: la Deutsche Bank per esempio ha celebrato il “Montimetro”, un misuratore meticoloso delle riforme strutturali approvate o in corso di approvazione da parte del Governo italiano. Tuttavia per il ritorno dei capitali in Italia ci vorrà tempo ancora. Per questo l’impegno a favore di una politica europea deve essere l’altro lato della medaglia della politica di riforma di ogni Paese.
Chi è fissato, anche tra gli editorialisti italiani, con la definizione di democrazia su scala esclusivamente nazionale fa fatica a capire in che razza di edificio complicato – e affascinante – ci troviamo oggi in Europa. Un esempio: i cittadini tedeschi sono enormemente irritati dalla richiesta di aiuto della Grecia, ma il fatto è che finora da quanto hanno prestato ci hanno guadagnato. Un rapporto del ministero delle Finanze di Berlino racconta che i 15,17 miliardi di euro finora prestati ad Atene a tassi compresi tra il 3,4 e il 4,5% hanno reso alle casse federali 380 milioni di euro. Si tratta di un rendimento doppio e triplo di quello dei Bund. Nessuno fa valere questa semplice osservazione nel dibattito tedesco proprio perché il dibattito è nazionale. Se noi ragioniamo solo in termini di democrazia nazionale, con gli argomenti della sola propaganda politica interna, dobbiamo accettare che la maggioranza dei cittadini tedeschi preferisca guadagnare di meno e avere inflazione (sì, proprio inflazione!) in casa propria piuttosto che prestare fuori dai propri confini. È ovvio che qualsiasi discorso pubblico europeo in una sede comune di confronto democratico sarebbe in grado di convincere i cittadini tedeschi che è loro convenienza aiutare i greci a patto che questi ultimi rispettino gli accordi. Ma anche per far rispettare gli accordi a un governo straniero è necessario sviluppare un sistema di governo comune democratico e certamente non nazionale.
L’aiuto ad Atene conviene anche alla Germania
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