A un primo sguardo, da domenica un’incertezza più fitta sembra avvolgere il futuro dell’area euro, la contrapposizione tra austerità e crescita e quindi anche il percorso dell’economia italiana. Solo a giugno infatti avremo risposte chiare alle molte domande sollevate dal voto popolare. Il rinnovo della coalizione di governo di Atene è sfumato per un solo seggio.
In un quadro di frammentazione e protesta che i greci stessi assimilano a Weimar, forse saranno necessarie nuove elezioni e nuove settimane di attesa. Restano in bilico le trattative con la troika, i finanziamenti previsti dal secondo programma di aggiustamento e in fin dei conti la permanenza di Atene nell’euro. Anche in Francia i programmi del neo-presidente François Hollande rimarranno sospesi fino al voto del 10-17 giugno per le legislative. Prima di allora Hollande farà fatica a fissare le sue basi negoziali e a discuterle con i partner europei. Ma non bisogna farsi confondere da un tale orizzonte nebbioso.
È necessario guardare alle fondamenta della situazione europea per trovare un orientamento più chiaro di quel che si creda e qualche ragione di fiducia.
Da sei mesi l’incertezza sul futuro dell’area euro ha prosciugato i flussi di capitale da un paese all’altro. In queste condizioni è come se ogni paese dipendesse solo dal proprio risparmio interno, come accadeva alle economie chiuse di alcuni decenni fa: se un governo decide di allentare il rigore fiscale, aumentando un po’ il disavanzo pubblico, costringe famiglie e imprese a ridurre la loro spesa e ad aumentare i risparmi. La conseguenza è di vanificare gli effetti positivi di ogni stimolo fiscale sulla crescita economica.
Non sorprende così che i 17 paesi dell’area euro stiano perseguendo tutti con determinazione il taglio del disavanzo pubblico, nonostante l’opposizione politica che sta maturando nei confronti del rigore. Nel 2012, 10 paesi su 17 prevedono deficit minori di quelli che avevano indicato nei programmi di stabilità già approvati con la Commissione europea. Nel 2013, si prevede che 14 paesi su 17 escano dalla «procedura per disavanzo eccessivo». Lo stesso presidente Hollande ha confermato che nel 2013 il deficit francese sarà al 3% e che nel 2017 il bilancio sarà in pareggio.
In una situazione incerta sul futuro dell’area euro tuttavia il rigore è necessario ma insufficiente. La minore spesa pubblica non è compensata da maggiore spesa privata nei paesi in crisi dove i rischi – e quindi i tassi d’interesse – restano elevati e dove calano sia la domanda sia l’offerta di credito. In questo quadro, la protesta nei confronti dell’Europa si spiega con l’assenza di risultati della politica del rigore. Ma essendo il rigore necessario anche in futuro cresce la protesta nei confronti dei governi in carica e, proprio per l’assenza di alternative, nei confronti della politica in generale.
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