• martedì , 26 Novembre 2024

Se Facebook va in Borsa con la storia delle nostre vite

Gli entusiasti sono pronti a investire nella società i soldi risparmiati per il college dei figli.
<Il nuovo strumento amplia le capacità di ricerca del motore offrendo nuove opzioni quando si digita, ad esempio, il nome di un architetto o di un pittore. Ci sentiremo chiedere se ci interessano i loro progetti, le loro opere, i rapporti con altri artisti, la storia del loro movimento culturale. Nuove associazioni rese possibili dall’integrazione nel motore Google di altre banche dati come Wikipedia e perfino il World Fact Book della CIA, l’agenzia Usa di «intelligence», che offrono 500 milioni di nuove combinazioni di personaggi, luoghi e fatti. Una novità importante per gli utenti, ma è in cantiere da due anni e gli esperti ne attendevano da tempo il lancio. Che arriva, a poche ore dall’Ipo Facebook. Che, come detto, agita gli investitori: mentre quelli professionali, pur vedendo la possibilità di un rapido guadagno, restano alla finestra o progettano un «mordi e fuggi» (il 71% degli operatori, secondo un’indagine indipendente, non pensa a Facebook come a un investimento di lungo termine), nel pubblico non specializzato fioriscono gli entusiasti. Molti dei quali, racconta il «Wall Street Journal», sono ponti a investire nella società di Mark Zuckerberg i soldi accantonati per il «college» del figlio (e ormai insufficienti), semplicemente perché trovano naturale scommettere sullo strumento del quale questi ragazzi si servono in continuazione.
Raramente ci si interroga su come possa fare a remunerare un capitale di oltre 100 miliardi una società che l’anno scorso ha registrato un fatturato di 3,7 miliardi di dollari e un miliardo di profitti e che nella prima parte di quest’anno ha addirittura denunciato un calo tanto degli utili quanto del giro d’affari. Momentanea coincidenza di fattori negativi, sostiene Facebook. L’idea di fondo è che un’impresa che è entrata nella vita di oltre 900 milioni di persone prima o poi troverà il modo di monetizzare questa posizione.
Un ragionamento non molto diverso, del resto, fu fatto nel 2004 quando ad andare sul mercato fu Google. Anche la società di Page e Brin allora registrava incassi pubblicitari crescenti ma ancora magri. Google, però, disponeva del motore di ricerca di gran lunga migliore, usato dalla grande maggioranza degli utenti di Internet. Nel lungo periodo quella scommessa ha funzionato, anche se all’inizio l’attesa esplosione del titolo non ci fu: qualche settimana dopo la quotazione si poteva ancora comprare l’azione Google al prezzo d’emissione.
Ma Google vendeva una tecnologia, un sistema di ricerca, un algoritmo. Facebook vende un sistema di socializzazione e un modo di accedere ai dati privati di tutti noi, nella speranza che imprese e inserzionisti pubblicitari attribuiscano un elevato valore a questa montagna di informazioni personali. I critici più polemici sostegno che i «fan» dell’investimento delle reti sociali versano soldi a una società che si sta arricchendo frugando nei loro stessi cassetti per acquisire informazioni da rivendere alle imprese che vogliono costruire profili sempre più precisi dei consumatori.
E non è nemmeno detto che tanta spregiudicatezza paghi: ieri la General Motors ha annunciato che non farà più pubblicità su Facebook: la considera poco efficace, anche se le dichiarazioni ufficiali sono più diplomatiche. Quello che colpisce di più, però, è che, mentre il pubblico si affolla per conquistare titoli Facebook, diversi dei grandi investitori che hanno comprato in passato pezzi della società a trattativa privata, ora rivendono le loro quote in misura superiore a quanto stabilito finora: la banca Goldman Sachs rivenderà la metà del suo pacchetto (23% del capitale), mentre il «tycoon» russo Yuri Milner mette sul mercato il 40 per cento delle sue azioni: incasserà più di 2 miliardi di dollari.

Fonte: Corriere della Sera del 16 maggio 2012

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