Gli entusiasti sono pronti a investire nella società i soldi risparmiati per il college dei figli.
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Raramente ci si interroga su come possa fare a remunerare un capitale di oltre 100 miliardi una società che l’anno scorso ha registrato un fatturato di 3,7 miliardi di dollari e un miliardo di profitti e che nella prima parte di quest’anno ha addirittura denunciato un calo tanto degli utili quanto del giro d’affari. Momentanea coincidenza di fattori negativi, sostiene Facebook. L’idea di fondo è che un’impresa che è entrata nella vita di oltre 900 milioni di persone prima o poi troverà il modo di monetizzare questa posizione.
Un ragionamento non molto diverso, del resto, fu fatto nel 2004 quando ad andare sul mercato fu Google. Anche la società di Page e Brin allora registrava incassi pubblicitari crescenti ma ancora magri. Google, però, disponeva del motore di ricerca di gran lunga migliore, usato dalla grande maggioranza degli utenti di Internet. Nel lungo periodo quella scommessa ha funzionato, anche se all’inizio l’attesa esplosione del titolo non ci fu: qualche settimana dopo la quotazione si poteva ancora comprare l’azione Google al prezzo d’emissione.
Ma Google vendeva una tecnologia, un sistema di ricerca, un algoritmo. Facebook vende un sistema di socializzazione e un modo di accedere ai dati privati di tutti noi, nella speranza che imprese e inserzionisti pubblicitari attribuiscano un elevato valore a questa montagna di informazioni personali. I critici più polemici sostegno che i «fan» dell’investimento delle reti sociali versano soldi a una società che si sta arricchendo frugando nei loro stessi cassetti per acquisire informazioni da rivendere alle imprese che vogliono costruire profili sempre più precisi dei consumatori.
E non è nemmeno detto che tanta spregiudicatezza paghi: ieri la General Motors ha annunciato che non farà più pubblicità su Facebook: la considera poco efficace, anche se le dichiarazioni ufficiali sono più diplomatiche. Quello che colpisce di più, però, è che, mentre il pubblico si affolla per conquistare titoli Facebook, diversi dei grandi investitori che hanno comprato in passato pezzi della società a trattativa privata, ora rivendono le loro quote in misura superiore a quanto stabilito finora: la banca Goldman Sachs rivenderà la metà del suo pacchetto (23% del capitale), mentre il «tycoon» russo Yuri Milner mette sul mercato il 40 per cento delle sue azioni: incasserà più di 2 miliardi di dollari.
Se Facebook va in Borsa con la storia delle nostre vite
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