Al G8 spinta congiunta di Usa e Francia per convincere Merkel.
I leader europei arrivati ieri sera (già notte fonda in Italia) nella tenuta di Camp David per la cena inaugurale del G8 hanno trovato ad accoglierli un Barack Obama come sempre sorridente e cordiale, ma anche molto teso. Il presidente di un’America che, dopo qualche mese di tregua, sta scivolando di nuovo nell’incubo di un’Europa che la trascina nel gorgo della sua crisi: sabbie mobili capaci di inghiottire la debole ripresa degli Stati Uniti.
Come nell’estate e nell’autunno scorsi, quando confessò che «Angela è la persona con la quale parlo di più, in assoluto», il presidente Usa si ritrova di nuovo a incalzare una Merkel recalcitrante, contraria a bruciare le risorse della Germania sull’altare del salvataggio dell’euro. Ma stavolta, oltre che con le pressioni di Obama, la cancelliera tedesca dovrà vedersela con l’attacco concentrico dei Grandi d’Europa, convinti che ormai siamo pericolosamente vicini al punto di rottura.
Una condizione estrema che per una volta spinge nella stessa trincea il conservatore britannico David Cameron e il socialista francese François Hollande, che, pur avendo su molti temi, dalle pensioni alle tasse, visioni inconciliabili con quelle di Londra e anche di Washington, ieri ha registrato «una forte convergenza di opinioni» con Obama sulla filosofia della crescita e sugli interventi d’emergenza necessari per salvare l’euro.
Del resto, che questo sia un vertice d’emergenza ospitato da un Paese deluso dall’Europa, i leader della Ue l’hanno capito fin dal loro arrivo a Washington, segnato da un’accoglienza gelida.
Che Wall Street, sempre scettica sulla solidità della costruzione della moneta unica, non scommetta più sull’euro non è una novità. Ma ieri il benvenuto a Monti, Hollande, Cameron e ad Angela Merkel l’hanno dato, prima di Obama, titoli e commenti della stampa. «L’apocalisse, abbastanza presto» era il titolo dell’articolo di Paul Krugman sul futuro dell’euro pubblicato dal New York Times il più autorevole ed «europeo» dei quotidiani Usa che, a quello dell’economista della sinistra liberal, ha affiancato un commento del conservatore David Brooks: un rimprovero all’Europa «che pretende di mantenere uno stile di vita grandioso senza lavorare di più, che vuole il capitalismo ma con la sicurezza sociale garantita, col risultato che il suo “welfare” va in bancarotta cercando di realizzare l’impossibile».
Un terzo editoriale, quello anonimo che rispecchia la posizione del giornale, era dedicato alla «questione Merkel»: la necessità di convincere la Germania ad allentare la morsa della sua strategia «austerity-only», accettando una politica non solo più permissiva sul piano monetario e dei sostegni alla crescita per la Grecia e gli altri Paesi finiti in recessione, ma anche filosoficamente diversa.
La Merkel si è presentata al G8 con qualche concessione sulle politiche d’investimento, ma non sarà il rifinanziamento della Bei o qualche emissione di titoli finalizzati a piani di opere pubbliche a diradare le nubi che si addensano di nuovo sulla costruzione monetaria europea.
Questo vertice era stato concepito per «registrare» i rapporti tra vecchi alleati: Obama voleva rassicurare un’Europa allarmata dallo spostamento degli interessi degli Usa verso l’Asia e chiedere ai partner una maggiore cooperazione anche finanziaria in campo militare (se ne parlerà da domani al vertice Nato di Chicago) e nelle iniziative per debellare la povertà nei Paesi più arretrati. Ma l’aggravarsi della crisi greca, i segni di cedimento del sistema bancario spagnolo, hanno sconvolto l’agenda del vertice. Che a questo punto, al di là dei comunicati che verranno emessi alla fine per rassicurare i mercati, non può che risolversi in un confronto molto franco, forse brutale, coi leader che prendono in considerazione anche scenari estremi. Gli Usa sono preoccupati quanto l’Europa: le immagini delle file davanti alle banche greche e spagnole vengono trasmesse anche qui e non aiutano di certo l’America a ritrovare fiducia nella crescita. Senza la quale, tra l’altro, la rielezione di Obama diventa sempre più problematica.
La Merkel cercherà di tener duro sulla sua linea etica: aiutare senza, però, premiare le «cicale». Ma davanti ai Commissari della Ue che parlano nelle interviste di «piani d’emergenza» per l’eventuale uscita di Atene dall’euro e a un capo della Commissione di Bruxelles, Barroso, che alle Nazioni Unite salta a piè pari la parte del suo discorso nella quale assicura che l’Europa continuerà a sostenere la Grecia, Obama chiede alla leader tedesca di cambiare filosofia: basta imperativi morali, è l’ora del pragmatismo per salvare il salvabile. Anche a costo di modificare il ruolo della Banca centrale europea, facendola rassomigliare di più alla Fed, e di fare più inflazione.
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