Con un serio piano per realizzare infrastrutture, liberalizzando davvero lavoro e capitale, si può avviare un programma per incrementare la produttività nei Paesi che ne hanno più bisogno.
E´ sempre gradito che un Nobel prestigioso come Amartya Sen confermi che l’euro non può funzionare così com’è, per giunta parlando da un centro, l’Università Bocconi, che più di ogni altro ha sostenuto il contrario. Non serve però sentirlo dire dopo che sono stati prodotti tanti guai, né tanto meno serve accusare i governi passati se si continua sulla stessa strada della .stabilità fiscale» ottenuta aumentando le tasse anziché cedendo il patrimonio pubblico e tagliando le spese.
Se il Consiglio europeo di fine maggio deciderà di attuare un piano di infrastrutture, affidandone probabilmente il finanziamento alla Bei, e se le opere da fare fossero scelte in modo mirato, sarebbe una prima seria compensazione degli effetti negativi dovuti alla natura non ottimale dell’Euroarea.
Queste tardive scelte non correggerebbero però i difetti di costruzione dell’euro, come non può farlo il fiscal compact, al contrario di un’effettiva liberalizzazione dei movimenti di lavoro e di capitale accompagnate da politiche compensative degli svantaggi infra-area.
Il Trattato di Schengen, le direttive europee su finanza e banche e le politiche di coesione avevano questo scopo, ma i contenuti erano e sono insufficienti per almeno tre motivi: perché una loro piena attuazione presuppone un’unione politica seria, perché la Banca centrale deve essere dotata di un mandato più ampio e perché… tra il dire e il fare si frappongono gli incorreggibili egoismi nazionali.
La migliore sintesi delle divergenze dovute alla non ottimalità dell’Euroarea è il saldo della bilancia corrente sull’estero della Germania, che presenta un avanzo di circa 160 miliardi di euro (più della Cina!), mentre Francia e Italia hanno un passivo che sfiora i 50 miliardi. Quanto più si lascia funzionare il mercato questo mercato, non uno ideale! tanto più la produzione, la domanda di beni e i capitali si indirizzano spontaneamente verso la Germania e pochi altri Paesi capaci di trarre vantaggio dalla situazione.
Se non si prendono le decisioni necessarie per ovviare alle divergenze di crescita, l’Euroarea è destinata a spaccarsi socialmente e politicamente, se già non è accaduto senza essercene accorti e, ancor più, se si costringe la Grecia a uscire dall’euro. Se invece si cambiasse impostazione sarebbe possibile condurre in modo più meditato le necessarie azioni di stabilizzazione fiscale e di riforme per incrementare la produttività dove è carente.
Aver rovesciato l’ordine dell’impegno di governo ha aggiunto altri guai a quelli, già gravi, di un euro mal costruito. L’uomo comune capisce che così non va e, non ottenendo una risposta convincente, finisce per mandare via i governanti, siano essi di destra o di sinistra. Ma anche i nuovi eletti non mostrano d’avere idee più chiare e suggeriscono provvedimenti tampone, come quelli che annuncia la Francia di Francois Hollande (più crescita e non un nuovo Trattato), o traumatici, come quelli che propone il radicalismo greco.
Se non si punta alla crescita salta l’eurozona
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