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Le armi della Bce: indipendenza e coraggio

Le parole nette del presidente della Bce, Mario Draghi hanno finalmente aperto uno spiraglio dentro al quale i mercati si sono gettati. Nell’impegno della Bce a evitare a ogni costo il collasso dell’euro, gli investitori hanno visto una possibile sistemazione della crisi europea e hanno rivelato di essere quasi desiderosi di credere a una volontà europea espressa senza infingimenti. Draghi però non ha usato solo le parole che il mercato voleva sentire, ha anche messo la Banca centrale in prima linea nella difesa dell’euro, affermando che la Bce è pronta a fare tutto quanto è necessario nei limiti del proprio mandato per risolvere la crisi. «E credetemi, sarà abbastanza», ha promesso. Preso un tale impegno a chiare lettere è difficile immaginare una marcia indietro.
Come ribadisce Il Sole 24 Ore da una settimana, il grave rallentamento delle economie europee, compresa quella tedesca, sta creando un rischio di deflazione nell’area euro che la Banca centrale europea deve contrastare proprio per essere fedele il proprio mandato: la difesa della stabilità monetaria. Il cosiddetto «allargamento della quantità di moneta», attraverso l’acquisto di titoli dei paesi più deboli, è una misura che oggi corrisponde a questo mandato perchè l’aumento degli spread sui titoli pubblici ha effetto sul costo del credito all’economia e sulle aspettative di ulteriore depressione dell’attività economica e dei prezzi. È dunque necessario contrastare l’aumento degli spread per evitare la deflazione, oltre che per facilitare la soluzione della crisi. L’editoriale del Sole di martedì scorso ha definito senza esitazioni come «il dovere della Bce» annunciare che la banca «interverrà per quanto serve» a difesa dell’euro. «Nella misura in cui la dimensione degli spread frena la funzionalità dei canali di trasmissione della politica monetaria, essa è rilevante al nostro mandato». Ha dichiarato infatti Draghi ieri.
Il richiamo al mandato della Banca centrale è importante, perchè disinnesca quella che un banchiere centrale chiama «la politica monetaria fatta con il codice penale». Finora infatti i freni e le obiezioni alle soluzioni di questa crisi estenuante sono quasi sempre giunti dal dipartimento legale della Bundesbank o dalla Corte costituzionale tedesca.
A fine giugno, la Bundesbank e la stessa Banca centrale europea avevano opposto obiezioni di natura legale agli accordi di intervento sugli spread proposti dall’Italia, (in base al principio che una parte dello spread è dovuta al rischio sistemico e non ai problemi del paese) benché fossero già stati accolti con favore dalla cancelliera Merkel.
La proposta italiana non prevedeva automatismi, che avrebbero leso l’autonomia di decisione della Bce o dei fondi europei di stabilità, ma solo che esistesse una responsabilità da parte della Bce e della Commissione europea di dichiarare lo stato di necessità in ragione del quale fosse affidato il mandato all’acquisto di titoli.
Successivamente la Corte costituzionale tedesca ha sospeso fino a metà settembre l’approvazione da parte di Berlino del meccanismo di stabilità europeo. In queste condizioni i governi sembravano paralizzati e la crisi si è aggravata con l’aumento degli spread in Spagna e, per contagio, in Italia. Finora la Bce aveva sempre richiamato i governi al loro dovere sia nel fare i compiti di casa, sia nel disporre risorse comuni adeguate a rendere il coinvolgimento della Bce nell’acquisto di titoli temporaneo e reversibile. Fino all’ultima conferenza stampa mensile della Bce a Francoforte, era parso che il presidente Draghi non avesse cambiato linguaggio. Ieri invece Draghi ha messo in collegamento più esplicito l’intervento della Bce con il dovere di stabilizzare le condizioni monetarie dell’area.
Non bisogna tuttavia trarre conclusioni affrettate. La Bce è un’istituzione che si basa su garanzie congiunte di 17 paesi attraverso il capitale che essi condividono. Di conseguenza sarebbe in grado di usare il proprio bilancio per distribuire costi fiscali e rischi finanziari tra i paesi. Tuttavia i compiti di redistribuzione non fanno parte del mandato della Bce, che anzi è inibita dall’eseguirli da norme molto rigorose. L’impegno della Bce va quindi considerato inteso solo alla preservazione dell’euro e non alla soluzione dei problemi dei Paesi troppo indebitati.
È bene ricordare che la Bce non acquista titoli del debito pubblico dei Paesi dell’euro area da quando ha interrotto il programma di sostegno ai titoli italiani alla fine del 2011 a fronte del mancato rispetto da parte del precedente governo delle condizioni poste dalla lettera dell’agosto 2011 che preludeva agli acquisti di titoli italiani e spagnoli. È successo a più riprese che i governi aiutati dalla Bce, in particolare la Grecia, frenassero le riforme non appena avevano ottenuto un sollievo dal mercato. Per questa ragione la Bce e i Paesi creditori hanno preferito finora che la pressione dei mercati continuasse a disciplinare i governi nonostante i costi e le inefficienze di spread troppo alti. Ora tuttavia l’incertezza causata dalla pressione dei mercati si sta ripercuotendo non solo sull’andamento delle economie, ma anche sulla stabilità della politica nei Paesi colpiti, producendo un effetto contrario a quella di una disciplina virtuosa e creando invece spazio a posizioni populiste, anti-mercato o esplicitamente anti europee. La politica degli “spread educativi” si è trasformata in una pratica di waterboarding, con la testa dei paesi indebitati tenuta sott’acqua troppo a lungo. Se alle parole di Draghi seguiranno i fatti, si potrà tornare a respirare.

Fonte: Sole 24 Ore del 27 luglio 2012

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