Dopo aver sentito una settimana fa la promessa di una Bce senza tabù e pronta a fare tutto ciò che è necessario per salvare l’euro, i mercati hanno reagito con ovvia delusione al nuovo rinvio degli interventi della Banca di Francoforte a difesa della stabilità dell’area.
Il presidente Mario Draghi ha preannunciato la ripresa degli acquisti di titoli a breve dei paesi in difficoltà, ma solo dopo che quei paesi avranno chiesto assistenza al Fondo di stabilità (Efsf). Tuttavia è molto improbabile che un paese si assoggetti a una cessione di sovranità pluriennale prima di sapere quanto meno se l’Efsf dotato di risorse che possono esaurirsi nel giro di qualche mese sarà affiancato dal fondo permanente, l’Esm.
L’esistenza di quest’ultimo è però tenuta in sospeso fino al 12 settembre dal giudizio di legittimità della Corte costituzionale tedesca. Solo successivamente Berlino potrà approvarlo e Bruxelles vararlo. In pratica la combinazione «Bundesbank più Corte costituzionale tedesca» lascerà mano libera ai mercati per i prossimi due mesi in una condizione di incertezza istituzionale e finanziaria.
Di fatto si tratta di un ribaltamento del criterio dell’autonomia della Banca centrale, che proprio la Bundesbank brandisce senza tema di abuso. Se la Bce fosse preoccupata solo della politica monetaria non potrebbe non constatare che essa non sta funzionando ormai da quasi un anno. I meccanismi di trasmissione sono inceppati, i mercati fragmentati lungo i confini nazionali, il credito non arriva in quasi metà dei paesi che infatti rischiano una spirale deflazionistica. Assoggettare l’intervento della Bce alla richiesta di aiuto dei singoli governi dimostra che la Banca ha dovuto accettare come spiegazione della crisi europea quella secondo cui la colpa della crisi è solo di alcuni paesi “periferici” che devono svolgere i compiti di casa in ragione di una cultura della stabilità che ormai rischia di non essere più cultura e che non è più stabilità.
Nelle sue dichiarazioni Draghi ha cercato di attenuare questa evidente contraddizione attribuendo responsabilità della crisi ai mercati, troppo lenti nel valutare i progressi compiuti dai paesi in difficoltà, e riconoscendo che gli spread e la segmentazione del mercato dipendono dal “rischio valutario”, cioè dall’incertezza sulla tenuta dell’euro area nel suo complesso. Un rischio, come si dice, sistemico e non specifico dei paesi. Eppure il disegno della sequenza espressa ieri è chiaro ed opposto: il paese chiede aiuto, Commissione e Bce decidono in 48 ore la condizionalità sulla base delle raccomandazioni già esistenti, il paese le accetta e la Bce decide se aderire.
L’Esm acquista titoli in asta e la Bce interviene sul mercato secondario probabilmente con operazioni a sorpresa di grande dimensione prima e dopo le aste per correggere gli spread, pronta a interrompere gli acquisti se il governo non rispetta gli impegni, come era avvenuto nel 2011 per responsabilità di Grecia e Italia.
La responsabilità di questo disegno non è della Bce, ma dei governi. Tuttavia la difesa dell’euro area dai rischi di instabilità è compito della Bce e Draghi ha voluto o dovuto cercare una faticosa mediazione con le resistenze interne, subordinando l’intervento della Banca alle condizioni imposte dai fondi di stabilità. Infine ha confinato gli strumenti di intervento al mercato monetario tipici della “politica monetaria classica” per evitare di essere accusato di deviare dal mandato della Bce. La strada di cautela scelta dalla Bce ha comprensibilmente deluso i mercati, ma dovrebbe almeno essere al riparo da contestazioni anche più pericolose di natura politica e legale.
La filosofia degli aiuti resta comunque quella di una “condizionalità contrattuale” da negoziare paese per paese, anziché di una “costituzionale” intesa a correggere il rischio sistemico che corrode la tenuta dell’euro area. L’Italia aveva avanzato una proposta in tal senso a metà giugno, ma Francoforte l’aveva respinta come “illegale”.
Ora la necessità di una richiesta formale di assistenza non piacerà al governo italiano, ma la netta posizione di Monti, secondo cui l’Italia è un paese virtuoso fiscalmente e che ha fatto i compiti, ha trovato riscontro nei governi che incontra e comporta l’eventuale attivazione di un programma senza il Fondo monetario. Il fatto che condizione degli aiuti sia un programma economico basato sulle raccomandazioni vigenti della Commissione Ue, significa che non ci sarebbero nuove condizioni decise lontano dal Parlamento italiano.
Tuttavia l’ancoraggio degli impegni presi legherebbe le mani al Parlamento oltre la legislatura attuale. Le forze politiche che stanno muovendo gli eserciti, in vista di una campagna elettorale del 2013 troppo fantasiosa, è bene che si mettano in sintonia con questa prospettiva.
La “vacanza” della Bce infatti non sarà esiziale per l’euro, ma due mesi di instabilità nei mercati, possono rendere difficile il ritorno degli spread a livelli ragionevoli. L’Italia ha avuto l’accortezza di evitare aste di titoli pubblici da qui a settembre, ma per la Spagna le condizioni possono essere molto meno favorevoli. In settembre l’esigenza di finanziarsi tornerà anche per l’Italia. Gli spread di questi giorni sono in parte nozionali: gli scambi sui mercati sono pochi e non ci sono aste italiane, quindi non si riflettono per intero sul debito pubblico. Tuttavia si riflettono sul costo del credito alle imprese e alle famiglie.
Autonomia ribaltata oltre la politica monetaria
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