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La battaglia dell’acqua

Quattro anni di caduta libera delle economie occidentali con l’Europa che rischia la dissoluzione della sua moneta, hanno fatto passare in secondo piano molti altri problemi del Pianeta, dai mutamenti climatici all’inquinamento. Ma ce n’è almeno uno, quello dell’acqua, che catturerà quanto prima la nostra attenzione. Lo intuiamo dalla siccità che in molte zone d’Europa sta lasciando i rubinetti a secco mentre in America fa crollare i raccolti di mais e soia. E siccome gli Usa sono per i cereali quello che l’Arabia Saudita è per il petrolio, in molti Paesi – soprattutto quelli più poveri – ci si prepara a fronteggiare un forte aumento dei prezzi dei prodotti agricoli.
Dovremmo evitare una crisi alimentare grave come quella del 2008, visto che nel frattempo sono state costituite grosse scorte di cereali in varie parti del mondo che faranno da cuscinetto, ma l’impatto si sentirà. Per quanto pesante, comunque, il problema che nasce dalla siccità americana è solo la punta di un iceberg. In fondo gli Stati Uniti sono il Paese che con l’acqua se la cava meglio: oggi ne consumano meno di trent’anni fa, nonostante nel frattempo il reddito nazionale sia raddoppiato mentre la popolazione è cresciuta di 70 milioni di abitanti. Merito di agricoltura e centrali elettriche che hanno imparato ad assorbirne di meno e delle nuove tecnologie di depurazione.
Ma in molte altre aree del mondo, dall’Africa al Medio Oriente, al subcontinente asiatico (India, Pakistan, Bangladesh, Indocina), di queste tecnologie non c’è traccia, mentre sovrappopolazione e cambiamenti climatici che riducono le precipitazioni e fanno sparire i ghiacciai stanno creando una situazione gravissima. I bacini dei grandi fiumi – Nilo, Indo, Brahmaputra, Giordano, Mekong, il Tigri e l’Eufrate – culla di molte civiltà, stanno diventando campi di battaglia spesso esangui.
La comunità internazionale, benché frustrata dagli insuccessi a ripetizione delle ultime conferenze planetarie sull’ambiente, dovrebbe occuparsene. Trovando un foro di discussione meno formale e più operativo, come potrebbe essere l’Expo milanese del 2015. Un luogo dove discutere con le maniche rimboccate, anche perché nel caso dell’acqua, nonostante molte previsioni apocalittiche, spesso si possono trovare soluzioni accettabili, politiche ma anche tecniche.
Secondo il Pentagono, che ha fatto studiare ai servizi segreti Usa la situazione delle aree più vulnerabili del mondo, presto avremo a che fare con vere e proprie guerre per la «idroegemonia». Un allarme che risuona anche nei documenti dell’Onu. Ineluttabile? Aaron Wolf, docente della Oregon State University, ha esaminato i conflitti degli ultimi mille anni e non ne ha trovato nessuno che ha avuto l’acqua come causa principale.
A differenza del petrolio, che prima o poi finirà, il ciclo dell’acqua è eterno. L’acqua che beviamo, dice Charles Fishman, autore di La grande sete , il saggio di riferimento in questo campo (pubblicato anche in Italia), è passata milioni di anni fa per i reni di qualche dinosauro. La Terra, insomma, è una macchina che produce acqua potabile. Fin qui, sia pure tra molte tensioni, gli uomini hanno trovato il modo di accordarsi sul suo uso.
Ma ora, nel disinteresse generale, egoismi nazionali, siccità, mancato adeguamento di protocolli siglati quando la situazione demografica era molto diversa, stanno creando tensioni fortissime in varie parti del mondo.
È il caso del bacino del Nilo, dove i trattati dell’era coloniale riservano il 90 per cento dell’acqua a Egitto e Sudan, lasciando a secco centinaia di milioni di africani che vivono lungo il fiume, a monte di questi due grandi Paesi. O dell’Asia, dove l’acqua dell’Indo è una causa potenziale di conflitto tra India e Pakistan, mentre la Cina è sospettata di voler limitare con le sue dighe la portata dei fiumi che nascono nel Tibet e bagnano i Paesi dell’Asia meridionale.
Sappiamo già che, davanti a problemi così articolati, le grandi conferenze planetarie non funzionano: troppi interessi nazionali in gioco, impossibile raggiungere accordi unanimi. Meglio affrontare i singoli casi, con approcci più pragmatici e locali, chiamando a discutere, insieme ai governi, scienziati e imprese che con le loro tecnologie possono aiutare a trovare soluzioni.
E allora, ripetiamo, perché non approfittare dell’opportunità offerta dall’Expo 2015 i cui temi – sviluppo sostenibile, alimentazione, «energia per la vita» – non sono certo lontani da quello dell’approvvigionamento idrico? Perché non caratterizzare sull’acqua una manifestazione che non ha ancora una fisionomia chiaramente percepibile?
L’Expo che si svolgerà tra mille giorni in Italia, luogo d’incontro naturale di progetti pubblici e privati, potrebbe essere il luogo giusto dove provare a far coagulare gli interessi di governi e imprese senza la burocrazia di un vertice mondiale e la pressione di un’opinione pubblica che, una volta accesi i riflettori, vuole risultati ad ogni costo.

Fonte: Corriere della Sera 8 agosto 2012

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