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La pigrizia dei governi

Il riacutizzarsi della crisi può essere spiegato abbastanza semplicemente: ci stiamo tutti accorgendo che, ancora una volta, appena la Bce interviene per calmierare i mercati i governi nazionali smettono di fare la loro parte.
L’intera storia della mancata soluzione della crisi europea può essere raccontata come un prolungato e assurdo tiro alla fune tra la Bce e i governi nazionali.
Un mese fa Mario Draghi ha offerto il sostegno «non limitato» della Bce in cambio dell’impegno dei governi. Ma negli ultimi giorni si è capito che Madrid non intende accettare il controllo della troika, che la Germania non fa sul serio sull’unione bancaria e che il fondo salva-Stati (Esm) è stato concepito nella speranza di non essere usato.
Da tempo ormai la regola non detta è che non bisogna strofinare troppo la lampada della politica perché non si sa quale cattivo genio possa uscirne. La richiesta di assistenza spagnola ai partner dell’area euro, per esempio, sarebbe dovuta venire preferibilmente dopo il voto americano del 6 novembre. Prima di allora, ogni richiesta di aiuto acuirebbe la tensione dell’economia globale, ostacolando la rielezione del presidente Obama, ben più euro-amico dello sfidante repubblicano Mitt Romney.
Inoltre l’aiuto alla Spagna dovrebbe far parte di un pacchetto di provvedimenti che riguardino anche altri Paesi, Grecia e Cipro, in modo da non chiedere al Parlamento tedesco – obbligato dalle sentenze della Corte costituzionale ad approvare in aula le richieste di assistenza – di pronunciarsi tre volte su un tema tanto più spinoso quanto più ci si avvicina alle elezioni federali di settembre 2013. Ora tuttavia la prospettiva entro fine anno di partiti autonomisti al potere in Catalogna e nei Paesi baschi rende ancora più confusa l’agenda del premier Mariano Rajoy, che infatti ha cominciato a negare del tutto una richiesta d’aiuto.
Anche sulla decisione italiana di non chiedere assistenza pesa l’incognita di un appuntamento elettorale in primavera dall’esito incerto e il cui risvolto paradossale è che una legge elettorale che assicuri una modesta ingovernabilità, può essere il miglior viatico alla governabilità da parte di un esecutivo europeista non di parte, come quello attuale, in grado, proprio perché pro-europeo, di mantenere il governo del Paese principalmente nelle mani degli italiani.
In questo tentativo di anestesia politica, i partner europei avrebbero il tempo di mettere in funzione il fondo Esm che può dare un senso alla condivisione di responsabilità politica tra i Paesi dell’euro, in parallelo alla messa in commune di risorse finanziarie. L’Esm infatti garantisce aiuti finanziari sulla base di condizionalità politiche. Ma siccome i paradossi sono necessari a far sì che la paranoia politica sia coerente con l’isteria dei mercati, i governi stanno cercando di limitare le possibilità di intervento dell’Esm. Ma quanto può durare la credulità del mercato, se l’obiettivo dei governi, come dimostrano sia Madrid, sia Berlino, sia Helsinki, è palesemente quello di non intervenire? Gli ultimi giorni dimostrano che dura molto poco.
La risposta delle autorità è che una volta avanzata dalla Spagna la richiesta di assistenza, anche se l’Esm sta seduto sulle proprie mani e non fa nulla, sarà la Bce a calmierare gli spread acquistando titoli sul mercato secondario. Anche se la Bce si facesse carico interamente della soluzione, non sarà comunque una passeggiata. Anche in America avviene che la Fed e il Tesoro agiscano separate e indipendenti, ma in realtà è davvero un brutto segnale per il mercato se non operano assieme. In questo caso, inoltre, la Bce dovrà dare una propria valutazione dei progressi del Paese e comperare titoli in ragione di giudizi molto politici sulla realizzazione delle condizionalità. In teoria la Bce dovrebbe decidere se una riforma del lavoro le piace oppure no, se le privatizzazioni sono sufficienti o no, e così via. E tirare la spina se quello che farà Rajoy non le parrà accettabile, anche a costo di far cadere un governo sottoposto a pressioni autonomiste e quindi a mettere in questione la tenuta e l’integrità di un Paese.
La Bce è in grado di togliere la spina e negli ultimi quattro anni lo ha fatto diverse volte. Poiché, però, la Bce non vuole bruciarsi le dita con la politica, finirà per chiedere che questo ruolo venga svolto in primo luogo dal Fondo monetario internazionale, che ha molti meno problemi a svolgere una funzione politica o paragovernativa. La decisione, però, immette sul mercato automatismi che non sono stabilizzanti. Se la situazione si aggrava, un ruolo primario dell’Fmi può destabilizzare ulteriormente i mercati, perché introducendo un “creditore privilegiato” (in caso di default l’Fmi viene pagato prima degli altri) rende più’ pericoloso investire nei titoli del Paese assistito. Il mercato poi attenderà che la troika ogni tre mesi esprima il suo parere sul rispetto dei programmi di Madrid. Durante i tre mesi, il mercato interpreterà aggressivamente i segnali che arrivano sul rispetto delle condizionalità, creando incertezza quotidiana.
Si tratta di uno scenario rischioso. L’Fmi ha molta esperienza di programmi di aiuto nei Paesi meno avanzati, ma è raro vedere i tecnici di Washington a proprio agio in sistemi a burocrazia complessa e democrazia sviluppata. Tuttavia la disponibilità’ europea a sviluppare forme di responsabilità politica e finanziaria comuni è ancora troppo scarsa e questo ha inevitabilmente conseguenze sulla qualità delle nostre democrazie.

Fonte: Sole 24 Ore del 28 settembre 2012

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