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Stavolta i sondaggi non hanno tradito

Ma il presidente ora dovrà cercare con più determinazione un compromesso coi repubblicani, senza umiliarli.
Barack Obama vince le elezioni 2012 e rimane presidente degli Stati Uniti. I democratici la spuntano anche in alcune battaglie decisive al Congresso e mantengono il controllo del Senato, mentre alla Camera la maggioranza resta ai repubblicani. Apparentemente tutto come prima, dopo una campagna esasperata che ha divorato le energie dei candidati, ha bruciato quasi 6 miliardi di dollari (record assoluto) e ha paralizzato la politica Usa per più di 18 mesi.
In realtà una simile sconfitta subita per mano di un presidente che, pure, era apparso stanco e logorato dalla crisi economica più grave degli ultimi 80 anni, da oggi spingerà i repubblicani a una resa dei conti interna e a ragionare su una possibile rifondazione del partito. Se ne era già cominciato a parlare un mese fa. Poi la riscossa di Romney nei dibattiti televisivi aveva spinto gli stessi intellettuali repubblicani a chiudere frettolosamente quella polemica e a pronosticare non solo un ritorno, ma addirittura una vittoria a valanga del leader mormone.
Romney ha portato a casa un buon risultato, almeno nel confronto col McCain di quattro anni fa. Ma dell’effetto-valanga che era stato pronosticato non si è vista traccia alcuna. Mentre scriviamo, conquistando il Colorado, Obama è arrivato a 290 delegati, 20 più del quorum necessario per restare alla Casa Bianca. Romney, nel momento in cui esce per fare il suo discorso di concessione a Obama, è fermo a 203: anche se avesse conquistato Florida, Virginia e Ohio, rimasti incerti fino all’ultimo, non potrebbe più farcela. Ma anche questi tre, alla fine pare siano andati al presidente.
Stavolta i sondaggi non hanno tradito, non ci sono state sorprese. C’è stato a lungo il previsto testa a testa a livello nazionale con Mitt Romney che ha guidato a lungo il voto popolare, anche se poi è stato Obama a prevalere. Ma l’impennata in extremis dei consensi per il candidato repubblicano in alcuni Stati-chiave che era stata prevista da molti intellettuali conservatorie e anche da alcuni “grandi manovratori” come Karl Rove, alla fine non c’è stata.
Il leader mormone ha conquistato qualche Stato in più di quelli vinti quattro anni fa John McCain, ma non è bastato. Non ce l’ha fatta a sfondare nello strategico Ohio, finito per pochissimo a Obama (anche se Rove, nel momento in cui scriviamo, sta ancora contestando questo risultato). E non è riuscita nemmeno la sua “strategia B”: compensare un’eventuale mancata vittoria in Ohio conquistando a sorpresa la Pennsylvania (terra “obamiana” ma attaccabile perchè piena di operai bianchi e di indipendenti, due gruppi nei quali Romney ha fatto breccia), oppure l’accoppiata New Hampshire-Wisconsin.
Quest’ultimo era uno stato a maggioranza democratica, ma è anche la terra del vice di Romney, Paul Ryan. Nessuno di questi due “blitz” dell’ultima ora ha funzionato. Ma la mazzata più dura, per Romney, è arrivata fin dalle prime ore dello spoglio, dalla Florida. Gli era indispensabile per sperare, l’avrebbe dovuta conquistare abbastanza agevolmente, ma non è andata così. Privo, stavolta, di parole d’ordine convincenti, di un messaggio “alto”, capace di scaldare i cuori, Obama l’ha spuntata usando quel poco che rimane del suo carisma e sfruttando fino in fondo l’imponente e costosissima macchina elettorale che ha fatto costruire negli ultimi tre anni.
È la vittoria di una squadra di professionisti che ha usato a tappeto le nuove tecnologie di “big data”, mentre il presidente ha potuto contare sulla straordinaria azione di traino dei personaggi della musica, del cinema, di un efficacissimo Bill Clinton e anche di Michelle che ha condotto un suo tour elettorale parallelo a sostegno del marito come nessun’altra “first lady” aveva mai fatto prima. Da domani torna a governare. Con la consapevolezza che stavolta dovrà cercare con più determinazione un compromesso coi repubblicani, senza umiliarli, per evitare quel “fiscal cliff” che già si delinea, minaccioso, all’orizzonte.

Fonte: Corrire della Sera del 7 novembre 2012

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