Ancora una volta, la Cina, la sua crescita ed i suoi squilibri interni ed internazionali sono al centro dellattenzione delleconomia internazionale. Quindi, chi, come il vostro chroniqueur ha iniziato la propria carriera, 45 anni fa, lavorando per un lustro sullEstremo Oriente (giungendo pure a conversare in Bahasa la lingua che si estende, con varie sfumature, dallIndonesia, alla Malesia ed al Madagascar) e che ha avuto più di un occasione di visitare la Cina negli ultimi ventanni, non può che dare unocchiata al grande Impero da cui dipende leconomia mondiale (specialmente in questi giorni di attesa sul futuro della politica, e delleconomia, italiana).
Lo esamina con il cannocchiale ma con un interlocutore deccezione Papa NDiaye, giovane economista senegalese che dirige la Divisione Cina al Fondo Monetario. Nel 2009, ricordiamo, un suo saggio accademico causò un certo scalpore perché metteva in dubbio la sostenibilità del modello di crescita cinese basato sullespansione delle esportazioni.
A Roma per incontri con istituzioni italiane, NDiaye ha accettato di scambiare idee sulle prospettive della Cina e sulle sue priorità. In primo luogo, le prospettive sono ottimiste (nonostante le tensioni etnico-politiche interne sulla cui portata economica preferisce minimizzare). In breve la Cina sta silenziosamente mutando i propri obiettivi: da una crescita attorno all8% lanno ad una attorno al 5% lanno in cui si dia la priorità alla qualità dello sviluppo. Ciò dipende sia da determinanti internazionali il peggioramento delle ragioni di scambio della Cina, le pressione per un ulteriore apprezzamento del cambio, già apprezzato del 30% dal 2005 ad oggi sia da determinanti interne declino del tasso di migrazione dal settore rurale a quello urbano, invecchiamento della popolazione attiva, pressioni per aumenti dei salari, più alti livelli di consumo delle famiglie.
Per NDiaye, alcune analisi delleconomia cinese apparse nelle ultime settimane denotano un pessimismo eccessivo mentre particolarmente il dodicesimo piano quinquennale, approvato due anni fa ed in attuazione come da programma, sta viaggiando verso un soft landing, atterraggio morbido verso un nuovo modello di crescita, maggiormente rivolto al mercato interno ed ai consumi interni piuttosto che allampliamento delle proprie quote di mercato mondiale. In tal modo il continente Cina potrà dare un contributo positivo alleconomia mondiale.
Occorre, però, che venga data la priorità al riassetto del settore finanziario, il vero tallone dAchille per uno sviluppo interno ben modulato. NDiaye traccia un percorso in sei tappe:
Un rafforzamento (leggasi ulteriore apprezzamento del cambio);
Un ripensamento del contesto finanziario generale ed istituzionale;
Regole migliori e più incisive per il funzionamento degli intermediari finanziari e la vigilanza;
Sviluppo di mercato degli altri elementi del settore finanziario (soprattutto delle assicurazioni);
Liberalizzazione dei tassi dinteresse;
Apertura ai movimenti di capitali.
E un percorso che, ad una lettura veloce, può sembrare facile. Chi ricorda la lunga ed impervia strada per il ritorno alla convertibilità ed a sistemi finanziari ben funzionanti in Europa dopo la seconda guerra mondiale (nonostante ci si potesse basare su istituzioni generalmente ben funzionanti sino alla grande depressione) sa che si tratta di un viottolo tutto in salita dove interessi particolaristici cresciuti e rafforzatisi negli ultimi trentanni possono tendere imboscate.
Vale la pena ricordare che Carsten A. Holz dellUniversità di Stanford, in un suo lavoro di qualche anno fa Chinas Economic Growth 1978-2025: What We Know Today about Chinas Economic Growth Tomorrow- , mostra un quadro molto più problematico. Con implicazioni anche inquietanti per il resto del mondo.
Pechino e’ molto vicina vista dal Fondo monetario internazionale
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