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Piena occupazione a portata di Merkel

«Lavoro per tutti».
A leggere il titolo sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung si strabuzzano gli occhi. Invece è proprio così: la Germania è sulla buona strada per raggiungere la piena occupazione, per la seconda volta in mezzo secolo, la prima essendo quella del miracolo economico di Ludwig Erhard.
La sua foto, la faccia rotonda sorridente, tra le dita un sigaro d’altri tempi, guarda rassicurante e paterna le statistiche che mostrano la disoccupazione in picchiata. Ad aprile sono una diecina gli articoli sul tema pubblicati dall’autorevole quotidiano conservatore, che adesso vi dedica una sezione sul sito (www.faz.net/vollbeschaeftigung).
Perché in Germania dovrebbe realizzarsi questo miracolo? E perché la Frankfurter Allgemeine Zeitung ne parla con tanta evidenza?
Negli anni Sessanta la disoccupazione in Germania era scesa a un incredibile 0,6%. Non c’erano abbastanza operai: mi resta nella memoria il padrone di una media industria che approfittava delle vacanze in Spagna per andare a selezionare un po’ di operai. Il primo shock petrolifero del 1974/75 aveva provocato una grave recessione, i sindacati avevano reagito all’inflazione con richiesta di aumenti, in sei mesi il numero dei disoccupati era salito a più di un milione. 1981, secondo shock, seconda recessione, due milioni di disoccupati. Nella Germania dell’Est ufficialmente non esisteva disoccupazione, in realtà secondo il famoso istituto di ricerca Ifo, la disoccupazione nascosta era tra il 15 e il 30%. Poi il cancelliere Schroeder riesce a fare approvare la sua Agenda 2010 che rende flessibile il mercato del lavoro.
Risultato: quest’anno i disoccupati saranno in media meno di 3 milioni, l’anno prossimo meno di 2,9 milioni. Diminuisce anche il numero di quanti sono impegnati in programmi di formazione e riconversione (oggi un milione). Conta la demografia: quest’anno il numero di occupabili supererà per la prima volta i 42 milioni: ma se non si aumenta l’età pensionabile, tra il 2008 e il 2025 ci saranno 6,7 milioni di lavoratori in meno. Li coprirà l’immigrazione: le correnti migratorie che portavano in Italia e Spagna si dirigeranno verso la Germania, che è sempre il Paese di emigrazione preferito.
Fine della disoccupazione. Proprio mentre l’Economist della scorsa settimana faceva la copertina sulla “generazione senza lavoro”, i giovani tra 15 e 24 anni in cerca di lavoro, che oggi sono tanti quanti l’intera popolazione degli Stati Uniti, il titolo fa colpo: ma la seriosa Faz non può certo essere sospettata di sensazionalismo. Propaganda elettorale per il governo uscente e la sua cancelliera? Un po’ presto, le elezioni sono a settembre; e poi non si manca di attribuire al socialdemocratico Schroeder il merito delle sue riforme. «Abbiamo lavoro, ma ampliando le garanzie prestate sui debiti, perdiamo sempre più una parte dei nostri sudati patrimoni», scrive Hans-Werner Sinn, presidente dell’Ifo. Per lui il pericolo non è tanto la perdita di valore per inflazione, come teme, tra i tanti, Thylo Sarrazin, quanto la perdita in conto capitale accumulata in Target 2. Sinn è contro il nuovo partito Alternative fuer Deutschland, lui l’euro lo vuole assolutamente salvare, rendendolo meno rigido, un sistema da cui si possa temporaneamente uscire e rientrare a risanamento avvenuto, una via di mezzo tra un sistema a cambi fisso come Bretton Woods e una completa unione monetaria come il dollaro.
È l’euro la ragione per cui la Faz lancia questo tema. In Germania si diffonde la sgradevole sensazione di isolamento. Un sentimento che ha radici antiche: vengono in mente le “memorie di un impolitico”, Thomas e Heinrich Mann, Kultur e Zivilisation, apollineo e dionisiaco. Anche per esorcizzarle l’alleanza con la Francia è così importante per la Germania di oggi. Che reagisce lanciando un messaggio: perché non fate come noi? Anche noi negli anni Novanta eravamo “the sick man of Europe”, ma grazie alla stabilità del valore della moneta, con la moderazione sindacale, e la flessibilità sul lavoro facciamo meglio di tutti. Anche lì sta la ragione della formidabile capacità competitiva dell’industria tedesca. Non prestate orecchio alle sirene della crescita con spesa in deficit: solo noi realizziamo il sogno di ogni politico, la piena occupazione.
“I compiti a casa di Letta” era il titolo dell’editoriale in prima pagina. Letta, vi si legge, già prima di completare il suo governo ha messo in chiaro che per lui la politica dell’austerità (la Frankfurter Allgemeine Zeitung la chiama del risparmio) è un vicolo cieco. Egli quindi, continua il giornale, andrà a rafforzare il gruppo dei partiti del Sud Europa, Francia compresa, che in modo sempre più aperto si schierano contro la ricetta tedesca per il salvataggio dell’Eurozona. Questo mentre le redini si sono già allentate: prima con la politica monetaria della Bce, poi con quella della commissione europea che rilassa i tempi per il risanamento, adesso perfino a Berlino l’accento è messo sulla crescita. “Crearne le condizioni nel proprio Paese è il grande compito a casa con cui adesso Letta si deve misurare”. Va a finire che ci tocca pure ringraziare l’editorialista di non averci ricordato l’articolo 1 della nostra Costituzione.

Fonte: Sole 24 Ore del 3 maggio 2013

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