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La consolazione robotica

Costretti dalla crisi siriana ad ammettere l’irrilevanza dell’Unione europea sulla scena internazionale, consoliamoci con l’aglietto. Un progetto per tutelare gli ispettori dei silos e l’ambiente. Una buona idea. Ma le ambizioni non erano più grandi?Costretti dalla crisi siriana ad ammettere l’irrilevanza dell’Unione europea sulla scena internazionale – irrilevanza alimentata scientemente dagli stati membri, sia chiaro – parliamo di altro. Di macchine umane, di possibilità di progresso e di sicurezza. Intanto aspettiamo che nelle ventotto capitali si capisca che la Francia o la Germania da sole non contano davvero nulla nel mondo globale, durissimo e parecchio infuriato in cui viviamo.
Ieri la Commissione Ue ha annunciato che, in collaborazione con un consorzio di dieci imprese europee capitanato dal colosso petrolifero Shell, intende studiare e costruire robot in grado di sostituire l’uomo nelle ispezioni dei silos a pressione e delle cisterne di stoccaggio, ampiamente utilizzati nell’industria petrolifera, del gas e petrolchimica. Li chiamano Petrobot, robot del petrolio. Ma il gioco di parole si allarga ai Pet Robot, gli automi che ti aiutano in casa.
I Petrobot dovrebbero permettere di ridurre i rischi e accelerare i tempi. Consentiranno l’ ispezione interna di silos a pressione, in modalità fuori linea — un robot (strisciante o in forma di braccio flessibile) è introdotto nel silo attraverso un passo d’uomo o un ugello dopo aver messo fuori servizio il silo (modalità fuori linea). O anche le ispezioni di cisterne in uso — un robot sarà introdotto nella cisterna in presenza del prodotto (benzina o prodotti intermedi). Il progetto durerà tre anni e sarà condotto da olandesi, britannici, svedesi, norvegesi, svizzeri e tedeschi. Bruxelles partecipa con 3,7 milioni. Il costo totale è di 6,2.
L’incidenti sono frequenti. Ammazzano uomini e provocano potenziali danni per l’ambiente. Se funziona, Petrobot ridurrà le minacce grazie all’Europa. Un piccolo passo, ma non secondario.
Della Siria parliamo un’altra volta. Ammesso che ci diano qualcosa di nuovo, e concreto, da dire che non sia nazionale, americano, israeliano o russo.

Fonte: La Stampa del 4 settembre 2013

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