• venerdì , 22 Novembre 2024

La missione impossibile di vigilare sugli Hedge Found

Lunedì 10 settembre, all’appuntamento mensile dei banchieri centrali del G-10 nella mesta Basilea (sede della Banca per i regolamenti internazionali, Bri), il Presidente della Bce Jean-Claude Trichet ed il Presidente della Banca federale di riserva di San Francisco Janet Yellen hanno, con toni leggermente differenti, detto la stessa cosa: i mercati minacciano turbolenze lunghe (anche se non profonde) ed occorre monitorarne i segmenti che più sfuggono alle autorità di vigilanza. Quasi in parallelo, in una riunione bilaterale a Meseberg (in Germania), il Cancelliere tedesco Angela Merkel ed il Presidente francese Nicolas Sarkozy hanno invocato uno “sforzo comune europeo” per “condizioni eque” e trasparenza nei mercati finanziari internazionali. Questo tema sarà uno dei piatti forti all’ordine del giorno della prossima riunione dell’Ecofin e verrà posto tra quelli prioritari all’assemblea del Fondo monetario internazionale, Fmi (in programma nella seconda metà d’ottobre a Washington). Il candidato europeo alla direzione del Fmi, Dominique Strauss-Kahn è un socialista convinto, convintissimo, della saggezza di affidare al Fmi (da tempo privo di veri compiti) il mandato della vigilanza degli “hedge fund”, mentre l’Ocse dovrebbe continuare a svolgere attività da ufficio studi.
Gli hedge sono effettivamente monitorabili e vigilabili? Da un paio di lustri un pensatoio privato a Chicago, lo Hedge fund research instutute (Hfri), svolge in parte questa funzione, con tecniche non proprio caserecce: 75 indicatori principali che sintetizzano 7600 differenti strategie di gestione dei fondi. Pubblica anche un indice composito dell’andamento degli hedge: in agosto ha segnato una flessione del 2,5% (ma a metà mese ha toccano ben un – 4,5%). Quindi, c’è qualcosa da cui prendere avvio. Il nodo serio è che nell’arco di circa un lustro gli hedge fund sono cresciuti da un paio di centinaia ad oltre 10.000 . Non solo dietro l’etichetta si celano attività finanziarie tra le più differenti. I primi hedge riuscivano a coniugare le prospettive di buoni rendimenti con la minimizzazione del rischio: ad esempio, per contenere la volatilità, si combinavano un numero limitato di posizioni a lungo con una vasta gamma di posizioni a breve (limitando la leva finanziaria). In tal modo alcuni fondi, hanno reso il 24% l’anno composto per circa tre decenni.
Ora il quadro è molto più variegato. Il periodico European Financial Management ha dedicato al tema un fascicolo speciale la primavera scorsa (prima, dunque, del recente tormentone estivo). Un’analisi – basata su dati 1989-99 (precedente, perciò, all’esplosione degli hedge in parallelo con il rapido aumento della liquidità dal 2001)- conclude che i risultati non sono necessariamente legati alla coerenza con cui si applica lo stesso stile di gestione del fondo, o della tipologia di fondi. Un altro studio (relativo al 1999-2003) afferma che soltanto il 40-47% degli hedge ha risultati migliori di strumenti più semplici: “ciò ha implicazioni importanti – afferma il lavoro – per investitori istituzionali e fondi pensione”. Un altro lavoro analizza il rapporto rischio-rendimenti nel periodo gennaio 1995- dicembre 2004 per un vasto campione : quelli ad alto rischio tendono a superare di ben sette punti percentuali i rendimenti di quelli a basso rischio. Una ricerca in corso di pubblicazione sul Journal of Business Finance and Accounting conclude che nella costruzione di un portafoglio ottimale , la proporzione di hedge (da tenere nel cassetto) dipende in gran misura dal grado di avversione al rischio. Un elemento in crescita un po’ ovunque dopo il tormentone estivo.
Quindi, mettere in piedi un complesso sistema di vigilanza Fmi potrebbe essere non solo difficile ma anche poco utile dato che finita la sbornia di alta liquidità e bassa propensione al rischio, il mercato si starebbe autoregolando da solo.

Fonte: MF del 12 settembre 2007

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