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Il manuale Cencelli di casa Bpm

A raccontarla sembra una storia d’altri tempi. Un «rodeo» da Prima Repubblica. Alla Banca Popolare di Milano è in scadenza il presidente, che della Prima Repubblica è figlio legittimo: Roberto Mazzotta, ex plenipotenziario Dc ai tempi della Balena Bianca, poi passato al credito «per scelta di vita». Per sostituirlo in un’assemblea convocata per il 24 aprile che si preannuncia calda, erano e sono in lizza vari concorrenti, contrapposti per provenienza e per competenza, e impegnati in una corsa turbinosa che fa venire il mal di testa.
Mario Resca, sodale di Berlusconi e braccio destro del ministro Bondi, si è chiamato fuori. Beniamino Anselmi, pupillo del «nuovo Cuccia» di Mediobanca Cesare Geronzi, è stato fatto fuori. Il Comitato dei socinon dipendenti, dopo lunga riflessione, ricandiderà (per il terzo mandato) lo stesso Mazzotta. Il Comitato dei socidipendenti, dopo un tormentato dibattito nel «parlamentino» in cui sono rappresentate al gran completo le sigle sindacali, ha scelto invece come suo candidato un amico storico di Romano Prodi, cioè Massimo Ponzellini, già vicepresidente della Bei e presidente di Impregilo. Il Comitato socipensionati, nel frattempo, affila le armi con una sua lista di minoranza, che schiera ai primi posti gente agguerrita, da Franco Del Favero a Leone Spozio.
Viva la democrazia economica, viva la cultura assembleare. Ma c’è qualcosa che non va, in questo «metodo», che ricorda il solito manuale Cencelli e che rende sempre più necessario ed urgente un ripensamento della governance delle banche popolari. Tanto più nel caso della Bpm, che non è una banca qualsiasi, ma una delle griffe più antiche e blasonate della piazza milanese e del Grande Nord. «In questo momento non ci possiamo permettere giochi di potere», ha scritto Mazzotta, in piena battaglia presidenziale, a tutti i dipendenti di Piazza Meda. E se lo dice uno come lui, c’è davvero da credergli.

Fonte: Affari e Finanza del 6 aprile 2009

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