Hanno capito benissimo che dalle ristrettezze della crisi non si uscirà per davvero prima di 4 o 5 anni: per questo, i risparmiatori italiani si comportano con un “attendismo prudente e preoccupato”, confermando nelle scelte l’avversione al rischio e l’attitudine alla parsimonia che li caratterizza per tradizione. Eppure è aumentato il numero di coloro che hanno imparato a valutare in senso relativo e che oggi si ritengono soddisfatti della propria situazione personale. Sono le immagini in chiaroscuro delle famiglie italiane, ricavabili dall'”indagine 2010 sugli italiani e il risparmio” realizzata da Acri e Ipsos.
Tra gli italiani – rileva lo studio presentato alla vigilia della Giornata Mondiale del Risparmio, che si celebra oggi a Roma con gli interventi del presidente dell’Acri Giuseppe Guzzetti di quello dell’Abi Giuseppe Mussari, del Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi e del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti – prevale un atteggiamento di disillusione: l’83% del campione (era il 78% nel 2009) percepisce la crisi come grave e il 69% si aspetta che non se ne uscirà prima di 4 anni (contro il 57%). Nonostante pochi (6%) dichiarino migliorata la propria situazione economica, i soddisfatti crescono però di 2 punti rispetto al 2009, dal 54% al 56% e dall’inizio della crisi crescono addirittura di 5 punti (nel 2007 e 2008 erano il 51%). Sulla propria situazione personale, quasi la metà degli intervistati (49%) ritiene che non cambierà, ma i fiduciosi (28%) superano gli sfiduciati (19%).
Va detto, però, che c’è anche chi dalla crisi è stato colpito in modo oggettivo: infatti, ricordano i ricercatori dell’Ipsos, il 23% delle famiglie (quasi una su quattro) lamenta il fatto che qualcuno del nucleo familiare ha perso il lavoro oppure ha subito delle condizioni peggiorative); inoltre, il 26% delle famiglie negli ultimi 12 mesi, invece di risparmiare, si è ritrovato con un saldo negativo e deve ricorrere a debiti o al decumulo di un risparmio pregresso. Ma dal sondaggio risulta anche che la quota di chi riesce a mettere soldi da parte resta costante rispetto agli ultimi anni, attestandosi al 36%; mentre sono il 37% quelli che consumano tutto ciò che guadagnano.
Sul versante degli investimenti, aumenta la percentuale delle famiglie che preferiscono la liquidità (68% contro il 62% dello scorso anno) mentre la già spiccata preferenza per il mattone passa dal 52% al 58%. Infine, dall’indagine emerge anche un’indicazione per la politica economica: quando si chiede ai cittadini di cosa abbiano effettivamente bisogno l’Italia, pochi si appassionano alla riduzione del debito pubblico (12%) e pochi (15%, ma la quota è al 34% tra le classi direttive) alla riduzione della spesa pubblica; moltissimi, invece (48% ma nel Nord est la quota sale al 53%) sottolineano la necessità di una lotta all’evasione fiscale.
«Ci sono bisogni sociali che rischiano di non essere soddisfatti: il disagio giovanile, la disabilità, la condizione degli anziani ha commentato il presidente dell’Acri Giuseppe Guzzetti . Non si può andare avanti con questa sorta di scarico di responsabilità, lasciando questi problemi solo al volontariato. La parte pubblica la sua parte la deve fare: forse può essere più rigorosa nelle spese, meno convegnistica, meno maxiconsulenze, meno maxi uffici e pubbliche relazioni. Lì c’è da risparmiare per avere le risorse da destinare alle fasce sociali che soffrono di più». In una successiva intervista, il residente dell’Acri è tornato sul ruolo delle fondazioni: «Le fondazioni sono state un diaframma positivo per interrompere la presenza dei partiti e della politica nelle banche. E se il nostro sistema bancario ha tenuto rispetto agli Usa e ad altri paesi, si vorrà dare atto che in questi anni ci sono uomini indicati dalle Fondazioni e che questo non è avvenuto per caso?».
Una famiglia su quattro deve ricorrere ai debiti, ma un terzo riesce ancora a risparmiare
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