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Mario Draghi un “tedesco” per i tedeschi

Se non ci fosse stata la crisi dell’euro, probabilmente oggi Mario Draghi avrebbe la strada spianata per succedere a Jean-Claude Trichet alla guida della Banca centrale europea. Tra i possibili candidati un altro della sua statura al momento non c’è. Ma oltre a cambiare tutte le carte in tavola, la crisi ha inasprito i rapporti tra i Paesi; alimenta paure e rancori.
Nel caso della Bce, la differenza è che non si può uscirne con un compromesso di basso livello. Se la responsabile della politica estera europea Catherine Ashton non conta nulla, pazienza: la diplomazia continua a farla ogni Paese per conto proprio. La Bce, al contrario, non è sostituibile. Ha davanti compiti ardui, dato che i guai di Grecia e Irlanda sono tutt’altro che finiti, e il Portogallo non è al sicuro.
Nelle ultime ore è svanita l’ipotesi di un candidato di compromesso proveniente da un Paese piccolo; benché continui a circolare il nome del finlandese Erkki Liikanen. Con la decisione di assegnare al belga Peter Praet l’altro posto che si renderà vacante nell’esecutivo a 6 della Bce, i governi hanno circoscritto il loro spazio di manovra. La presidenza dovrà per forza andare a un Paese grande: dunque la partita è a tre, fra Germania, Francia e Italia. A volere un tedesco alla guida della Bce erano sembrati, negli ultimi giorni, quasi più i francesi che i tedeschi. Nicolas Sarkozy sperava che facendo il difficile per dire alla fine di sì avrebbe strappato molte concessioni. Però a Berlino si rendono conto di non avere altri candidati validi dopo la rinuncia del troppo controverso Axel Weber; la scelta di Jens Weidmann e di Sabine Lautenschlaeger per guidare la Bundesbank lo dimostra.
In risposta, i francesi hanno provato a lanciare l’ipotesi di una proroga di Trichet: la ostacola la difficoltà di dover modificare i Trattati. L’ultima voce che corre è che il candidato capace di non scontentare nessuno sarebbe l’attuale governatore della Banca di Francia, Christian Noyer. Pur meno brillante di Trichet, garantirebbe continuità con lui. Potrebbe forse impegnarsi in segreto con i tedeschi a passare la mano prima di terminare gli otto anni di mandato.
Comunque sia, tutti e tre i grandi Paesi dell’euro sono messi di fronte a realtà spiacevoli. Per noi, l’esame di coscienza nasce dall’avere un candidato stimatissimo nel mondo che passerebbe soltanto se – in questo momento in cui l’immagine esterna dell’Italia è al suo peggio – riuscisse a far dimenticare di essere italiano. La Germania farebbe bene a confrontarsi con il disprezzo verso i Paesi vicini e verso la costruzione europea che fermenta non più solo sulla sua stampa popolare, ma anche tra una parte delle élites. Parigi dovrebbe rendersi conto che i giochi di sponda non rimediano alla concreta perdita di influenza politica e ideale del Paese. Draghi sta giocando bene la sua partita. Con l’intervista apparsa ieri l’altro sul quotidiano conservatore Frankfurter Allgemeine (concordata prima dell’abbandono di Weber) mira a mostrarsi tedesco quanto i tedeschi: non solo il continuatore di Trichet, anzi pronto a offrirgli garanzie in più. Angela Merkel potrebbe prenderlo in parola; ma far accettare al pubblico tedesco un italiano richiederebbe sforzi erculei.
Per rendersene conto basta dare un’occhiata ai commenti on-line dei lettori della Frankfurter Allgemeine all’intervista di Draghi. Tra insulti, stereotipi vari su mafia e mandolini, allusioni ai casi presenti, prevale il timore che l’italiano proteggerebbe i Paesi deboli, chiedendo ai tedeschi di pagare il conto delle loro dissolutezze; e che il suo parlare da «falco», sostenitore del rigore monetario, sia l’inganno di una «colomba» travestita.

Fonte: La Stampa del 17 febbraio 2011

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