Le pagine che il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi leggerà martedì prossimo nel salone dei partecipanti di palazzo Koch saranno oggetto inevitabilmente di una doppia chiave di lettura: da un lato, il bilancio dei suoi cinque anni in Banca d’Italia; dall’altro, le “Considerazioni iniziali” del futuro presidente della Banca centrale europea.
Sotto il primo profilo Draghi, che nella sua prima relazione annuale aveva parlato di una banca centrale «ferita» dalle vicende giudiziarie che avevano messo fine all’era Fazio, potrà adesso affermare che è stato assolto il compito che si era dato: riaccompagnare la banca al prestigio istituzionale di cui in precedenza aveva sempre goduto. Bankitalia ha infatti pienamente recuperato l’autorevolezza e il ruolo storico di consulenza neutrale al Paese.
Quanto al secondo aspetto, cioè come sarà il suo stile di guida all’Eurotower, l'”antifona” si è già potuta ascoltare in un recentissimo intervento a Berlino. Draghi ha battuto a lungo sull’indissolubilità del binomio crescita-stabilità, sottolineando che se viene meno un termine inevitabilmente s’indebolisce anche l’altro e spiegando che «il risanamento dei conti e la normalizzazione della politica monetaria sono le condizioni necessarie per la crescita e la stabilità finanziaria».
Sempre in tema di economia internazionale, Draghi ha ricordato che in questo momento ci sono tensioni sui prezzi delle materie prime e una forte disuguaglianza nella crescita; ha inoltre avvertito che anche in futuro la politica monetaria resterà fermamente ancorata alla stabilità dei prezzi. Infine il governatore, che ha tuttora la responsabilità della direzione del FSB, ha di recente battuto su due concetti che con ogni probabilità si ritroveranno anche nelle prossime considerazioni finali: il primo è che la responsabilità di quei paesi di Eurolandia che oggi debbono affrontare una crisi di fiducia dei mercati è in primo luogo una responsabilità nazionale, che deve materialmente concretizzarsi in un piano di risanamento. Il secondo concetto è che anche anche in campo bancario, quando si scriveranno le regole per la gestione delle crisi delle grandi banche a rilevanza sistemica, dovrà essere chiaro che questi interventi non dovranno pesare sui contribuenti europei.
Quanto all’economia italiana, cinque anni fa l’economista Draghi affermava: «Una crescita stentata alla lunga spegne il talento innovativo di un’economia; deprime le aspirazioni dei giovani; prelude al regresso; preoccupa particolarmente in un paese come il nostro, su cui pesano un’evoluzione demografica sfavorevole e un alto debito pubblico». Purtroppo, queste valutazioni sono ancora attuali, visto che anche adesso, come cinque anni fa, il Paese fa molta fatica ad agganciare la fase di ripresa internazionale, dopo aver accusato la recessione in modo particolarmente acuto; gli ultimi dati Eurostat hanno chiarito in modo plastico che in Europa c’è chi, come la Germania, ha la capacità di ritornare rapidamente a crescere a un tasso del 4,9% tendenziale e chi, come il nostro paese, non supera l’uno per cento.
La cura per questo tipo di difficoltà non può che passare attraverso riforme strutturali che innalzino la produttività di tutti i fattori. Il che significa rilancio della produttività del lavoro, recupero del gap tecnologico, salto dimensionale delle imprese, ammodernamento delle infrastrutture materiali, rilancio di infrastrutture istituzionali come la giustizia civile, la formazione, la scuola. In campo macroeconomico fare riforme strutturali vuol dire, secondo Draghi, incidere sulla dinamica e sulla composizione della spesa pubblica.
Nelle Considerazioni non mancherà il capitolo banche: come il governatore ha più volte sottolineato, il sistema bancario italiano ha retto molto bene l’urto della crisi, per via di un modello di business più ancorato alla tradizione, ma anche per una Vigilanza molto attenta e prudente, basata sul monitoraggio costante della gestione delle aziende. È possibile che, nel rinnovare il monito a tenere la guardia alta sul fronte del rafforzamento patrimoniale, Draghi torni anche a spiegare che in nessun modo le banche dovranno far ricadere gli eventuali oneri derivanti dai maggiori stanziamenti a capitale sulle spalle della clientela, magari attraverso effetti di razionamento del credito: perchè, come ha ripetuto spesso «bisogna saper fare i banchieri anche nei momenti difficili».
Martedi le ultime considerazioni di Draghi:”Più produttività totale per tornare a crescere”
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