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“Noi Piccoli compriamo Bot e Btp”

Appoggio con convinzione e senza rimpianti la soluzione che si sta profilando: un “governo del Presidente” guidato da Mario Monti, con tutto quel che segue (ministri tecnici, ecc.). Ovviamente vedo tutte le difficoltà e le contraddizioni di questa operazione politica che può riuscire nella misura in cui il nuovo premier negozierà il meno possibile con i partiti ed agirà il più possibile in autonomia da loro, ponendo – come si dice in questi casi – i gruppi parlamentari “davanti alle loro responsabilità” (che in parole semplici significa “prendere o lasciare”).
Il mio sostegno all’eventuale governo Monti si basa su di una precisa consapevolezza: il professore non è altro che un commissario che la Bce invia nel nostro Paese allo scopo di evitare il default. Pertanto sarà un intelligente ma fedele esecutore delle direttive di Bruxelles e Francoforte. Questa linea di condotta creerà più problemi alla sinistra che al centro destra, perché Monti darà corso ad una politica di rigore ben più seria di quella che il governo Berlusconi si sia mai sognato di fare. L’Italia è veramente uno strano Paese. Andando al voto, la sinistra avrebbe avuto buone probabilità di vincere le elezioni, eppure si è schierata a sostegno di un governo che le farà vedere i sorci verdi. Il centro destra quasi sicuramente perderebbe le elezioni e per giunta gli capita tra capo e collo un esecutivo che farà quella politica che l’attuale governo ha più promesso che attuato; ciò nonostante rischia di spaccarsi con una parte che insiste per andare a cercare la “bella morte là dove canta la mitraglia”.
Il fatto è che occorre evitare un patatrac ormai a portata di mano. Mi fanno ridere quelli che invocano il primato della politica contro i tecnocrati, l’idea del “governo del popolo, dal popolo, per il popolo”. Costoro non si sono resi conto che siamo prossimi a non poter recuperare più la situazione finanziaria del Paese. Basta un attimo perché si diffonda un panico incontrollabile che induca i risparmiatori ad assediare le banche per vuotare i loro conti correnti. Siamo vicini al punto in cui diventerebbe difficile chiedere il rinnovo dei nostri titoli di Stato, nonostante la promessa di tassi di interesse sempre più insostenibili che dreneranno per anni – a favore del servizio del debito – risorse preziose che sarebbero più utilmente destinate ad altre finalità. Questa è la situazione da cui partire per assumere le decisioni più corrette oggi.
Solo una forza cinica come la Lega Nord può sperare di lucrare qualche successo elettorale mettendosi a fare concorrenza – in modo più sgangherato – alla Cgil. Non una grande forza di governo come il Pdl che non potrebbe mai prendere le distanze – come farà Bossi – dagli impegni che Berlusconi ha sottoscritto con la Ue e il G20. Del resto, ormai sono i mercati a dettare la linea. Se saluteranno con favore il governo Monti, nessuno avrà il coraggio di mettersi di traverso. Il giorno in cui il professore esitasse, prestasse orecchio ai mal di pancia di qualcuno alla sua sinistra, i mercati manderebbero un segnale chiaro che riporterebbe il governo sulla strada giusta. Veramente, ci stiamo avviando verso il migliore dei mondi possibili, in cui sarà chiara la linea da seguire.
Ma come ha fatto l’Italia a ridursi in pochi mesi in questa condizione, nonostante che non fosse mai finita in “zona retrocessione”, grazie ai suoi tanti pregi finanziari, economici e produttivi? Tralasciamo per carità di patria il ruolo golpista del kombinat magistratura-circuito mediatico che hanno devastato l’immagine del premier (non senza sue responsabilità) in tutto il mondo e limitiamoci alle criticità della maggioranza nel corso degli ultimi mesi (se volessimo andare più indietro è stato un errore fondamentale aver espulso Fini, il quale ci ha messo tanto del suo, per consegnare la stabilità del governo nelle mani di gruppetti di parlamentari alla ricerca di ministeri e sottosegretariati).
La sequela degli errori fatali ha inizio con la sconfitta elettorale della primavera scorsa. E’ da quel momento che, in assenza di un esame serio dei motivi della sconfitta, nel governo si profilano due diverse linee di politica economica: una “sviluppista” proiettata alla ricerca del consenso perduto tramite promesse insostenibili (ad esempio, la riforma del fisco) e sostenuta da Berlusconi in prima persona, in contrasto con quella di Giulio Tremonti (la seconda) incentrata sull’innesto del “pilota automatico” sulla rotta indicata dalla Ue. Questo dualismo ha prodotto due effetti devastanti: un dissidio sempre più incolmabile (ognuno dei due contendenti ci ha messo del suo anche in questo caso) tra il premier e il superministro dell’Economia che ha portato alla delegittimazione di quest’ultimo, nonostante che fosse lui a garantirci presso la comunità finanziaria internazionale. Da questo (inconcepibile) dissidio è nata la manovra di luglio, non credibile proprio perché conteneva al suo interno le due linee non conciliabili, che si sono misurate, con dovizia di dichiarazioni a sproposito, per tutto il mese di agosto in occasione delle misure correttive, che il governo è riuscito a varare soltanto grazie all’intervento di Napolitano. Poi è iniziata la sostanziale paralisi dell’esecutivo, in conseguenza del mix tra emarginazione ed Aventino di Giulio Tremonti. Così sono arrivati gli ultimatum dei partner e l’avvitamento in uno spread scappato di mano. Il governo scriveva lettera di impegni, ma non riusciva a tradurre quegli stessi impegni in norme. Fino al logoramento della maggioranza e alla svolta gestita con sapienza ed abilità politica da parte del Quirinale.
Siamo all’inizio di un cammino complesso, a cui il PdL deve guardare con la consapevolezza di essere in grado di condizionare il nuovo governo anche perché le sue politiche saranno molto più coerenti con la strategia del centro destra che con quelle della sinistra. Quanto al dibattito interno al Pdl, alla fine sono risultati essere più ‘berlusconiani’ quelli che, pur dimostrando fino all’ultimo lealtà al governo uscente, si sono subito resi conto che era divenuto inevitabile appoggiare il governo del Presidente, guidato da Mario Monti. Al dunque è stata questa la scelta del Cavaliere. O no? Oppure, c’è qualcuno che crede di essere più ‘berlusconiano’ di Berlusconi?

Fonte: Corriere della Sera del 7 novembre 2011

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