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Il paradosso dei prestiti gratis

L’inizio sembrava un pranzo gratis, la fine potrebbe essere un imprevisto paradosso. Pranzo gratis quello delle banche che prendono a prestito dalla BCE liquidità al tasso dell’1%, comperano titoli di stato al 6% che dànno come collateral alla BCE, lucrando la differenza di rendimento. C’è moral hazard , né può essere diversamente: i titoli restano sui bilanci della banca, e quindi anche il rischio di default; ma, come osserva il Financial Times, le grandi banche di un paese che fa default falliscono comunque.
In ogni caso, la European Banking Authority, diversamente dalla BCE che calcola al valore nominale i titoli dati come collateral, ha deciso che i regolatori nazionali chiedano alle banche di costituire un cuscinetto a copertura del minor valore dei titoli di debito pubblico, e nello stress test in corso e in quello previsto per l’autunno valuta a fair value il debito sovrano all’attivo delle banche: fine del pasto gratis.
Le banche piccole non dovrebbero avere problemi a usufruire della liquidità per fare maggiori prestiti a famiglie e imprese: hanno mediamente buoni rapporti capitale/impieghi, possono offrire alla BCE come collateral attivi prima esclusi, sono poco investite in debito pubblico e comunque non devono sottostare agli stress test.
Invece la maggior parte delle grandi banche dovrebbero comunque aumentare il proprio capitale; avendo molto debito sovrano nel loro attivo, dovranno ulteriormente aumentarlo per effetto dei nuovi criteri dell’EBA. La liquidità della BCE consentirebbe operazioni allettanti, ma non senza rischi: ad esempio le banche lucrerebbero un grosso guadagno ricomprando le proprie obbligazioni in circolazione, che oggi quotano molto sotto il valore nominale; sempre che fra 3 anni, quando dovranno restituire il prestito alla BCE, il mercato sia liquido.
I tassi dei bond decennali di USA, UK, Germania sono intorno al 2%, e quelli del Giappone sono addirittura all’1%: il rischio che i mercati valutano è la deflazione. Quelli di Italia e Spagna sono intorno al 6%: il rischio che i mercati valutano è il default. Eppure i dati di finanza pubblica non sono così diversi: il Giappone ha un debito pubblico più alto dell’Italia, il deficit UK è un multiplo del nostro. Ma gli speculatori, cioè i mercati, non si sognano di scommettere sul default di quei Paesi: perché ognuno di essi ha una banca centrale che se necessario potrebbe stampare dollari o sterline o yen necessari ad evitarlo. La situazione dei Paesi dell’eurozona è invece simile a quella dei Paesi che si finanziano in una valuta straniera: se i capitali stranieri si ritirano (come nei paesi asiatici nel 1997/98), se la loro valuta si svaluta rispetto al dollaro (come l’Argentina nel 2001), non possono contare su una FED che presti i dollari necessari per far fronte ai propri impegni. I paesi dell’euro, se il mercato chiede interessi elevati per comperare il loro debito, non possono contare sulla BCE: questa per statuto non può essere prestatore di ultima istanza, i paesi fondatori dell’euro hanno voluto la politica monetaria del tutto indipendente da quella di bilancio.
Si può immaginare anche un esito paradossale. Il debito pubblico del proprio paese è sovrarappresentato negli attivi di tutte le grandi banche: se c’è scarto tra valore di acquisto e valore di mercato dei nostri BOT, le nostre soffriranno di più, ma le banche straniere cercheranno di disfarsene. Se nessun operatore straniero si presentasse alle aste del Tesoro, sarebbe irresistibile la pressione sulle banche italiane perché sottoscrivano. Progressivamente tutto il nostro debito pubblico, oggi per quasi metà in mano straniera, finirebbe per essere detenuto da cittadini italiani, come in Giappone. A quel punto, le banche italiane non potrebbero sottrarsi alla moral suasion di sottoscrivere a tassi “ragionevoli”. La nostra capacità negoziale con i partner europei andrebbe a picco: ma crollerebbe pure il pilastro su cui è costruito l’euro. Doveva essere la moneta di un’area di libera circolazione dei capitali, difesa da una banca centrale rigorosamente indipendente dal potere politico; si finirebbe in un mercato finanziario frammentato in mercati nazionali, con banche obbedienti alla volontà dei Governi. Per non avere un Lender of Last Resort europeo indipendente, si potrebbe finire con tanti piccoli lender nazionali obbedienti.

Fonte: Sole 24 ore del 28 dicembre 2011

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