Le banche dimenticano uomini (e credito).
Incoraggiato dalla mossa della Bce che ha fornito liquidità al sistema bancario, un professionista milanese ha varcato l’ingresso della sua filiale e si è rivolto al direttore per concordare un prestito personale. Si è visto chiedere per un finanziamento a 48 mesi a tasso fisso l’ 8,75% e se ne è andato sbattendo la porta. Scena pressoché uguale a Roma: un cliente dopo venti anni di fedeltà alla stessa banca ha chiesto mille euro di prestito e si è sentito replicare che per averlo avrebbe dovuto prima comprare in garanzia obbligazioni per 2.500 euro. Dietrofront. Il credit crunch delle famiglie è in pieno svolgimento e le decisioni che Francoforte ha adottato per far affluire risorse in basso non sembrano aver minimamente cambiato la tendenza. Ai funzionari è arrivato più o meno formalmente l’ input di chiudere i rubinetti e tanto è bastato perché tutte le disquisizioni sull’ evoluzione del merito di credito e la qualità delle erogazioni andassero a farsi benedire. Anche per le imprese le cose non vanno meglio. I responsabili di Rete Imprese Italia raccontano allibiti degli ordini che i principali istituti avrebbero dato, proprio in questi giorni, di disdire tutte le convenzioni raggiunte con le organizzazioni di categoria e i Confidi. Un’ inversione a «U» che ha del clamoroso. Se va avanti così a gennaio avremo cortei di artigiani e commercianti che porteranno per strada l’ effige di Mario Draghi come monito ai banchieri nostrani che hanno avuto denaro all’ 1% e lo rivendono quando va bene con un guadagno di 7-8 punti. Tutti si aspettavano che dopo la decisione della Bce partisse un altro genere di inversione di tendenza ma Paolo Martinello, presidente di Altroconsumo, è costretto a dire che «se ci sarà un cambiamento tutto accadrà con lentezza». Il settore dei prestiti personali ha di suo già un tasso di trasparenza assai basso. Se dovete chiedere un prestito vi serve una settimana di ferie, dovete armarvi di santa pazienza, entrare in più filiali e farvi intervistare ogni volta. Già a settembre 2011 un’ indagine del «Corriere Economia» basata su cinque primari istituti di credito (Unicredit, Intesa, Mps, Ubi e Popolare di Milano) aveva appurato che per avere 15 mila euro se ne devono restituire dopo sei anni ben 20.404 a un tasso annuo effettivo globale dell’ 11,09%. E stiamo parlando di un tasso medio perché alcune banche sono arrivate a chiedere anche il 12,3%. Immettendo ieri pomeriggio gli stessi dati nel sito di Prestiti Online, il principale broker e consulente multimarca indipendente, le tre migliori offerte variavano dal 10,61% all’ 11,92%. Se nella casella «tipo di impiego» introduciamo la scritta «dipendente a tempo determinato» il sito registra che non ci sono prodotti disponibili. Ovvero nessun banca è disposta a concedere il prestito a un cliente che non appare ipergarantito. Vedremo quindi a gennaio, quando saranno resi noti i dati sugli impieghi delle banche, quanto è stata secca l’ effettiva frenata delle banche. Ma la verità sembra già essere sotto gli occhi di tutti. È chiaro che nessuno chiede agli istituti di credito di recitare la parte di Pantalone e accontentare tutti ma l’ impressione è che sia più facile dire tanti no che selezionare le richieste. Osserva Stefano Caselli dell’ università Bocconi: «Non ci sono state innovazioni nella capacità di individuare il merito di credito, le banche stanno semplicemente reagendo all’ inasprimento dei requisiti di capitalizzazione richiesti dalle autorità bancarie europee». Risultato: chi ha un lavoro fisso trova difficoltà ad ottenere prestiti e mutui e chi poi vive di contratti a tempo determinato è totalmente privato «della cittadinanza creditizia», come sottolinea Caselli. La verità è dunque che nell’ epoca dello spread c’ è un «uomo dimenticato», come recita il titolo del libro che la giornalista Amity Shlaes ha dedicato a ricostruire gli effetti sociali della Grande Depressione americana. Il nostro «forgotten man» è un cittadino comune che ha bisogno di un prestito per far fronte a impegni di carattere familiare o perché vuol comprar casa per il figlio che si deve sposare. A poco vale se quell’ uomo dimenticato è anche un perfetto contribuente che con la sua lealtà fiscale sostiene i conti nazionali, per le banche resterà un invisibile. I racconti in proposito sfiorano il ridicolo. Moglie e marito entrambi con stipendio fisso che ammonta a tre volte il canone mensile del mutuo casa richiesto sono stati costretti a peregrinare per quattro-cinque banche e/o broker, un’ odissea che ha avuto il risultato di veder peggiorare sensibilmente nel giro di tre mesi le condizioni di stipula del contratto. Pagando la stessa rata mensile dieci settimane prima avrebbero ottenuto un mutuo di ben 40 mila euro superiore. Ma tutto sommato sono stati fortunati perché oggi la tendenza delle banche è a non concedere mutui se non ai clienti di primissima fascia che pagano in contanti più del 50% dell’ immobile da acquistare. Per gli altri il verdetto dei funzionari è uno solo: niet. Di conseguenza gli operatori di mercato continuano ad elaborare i dati medi dei mutui ma li riferiamo quasi per accademia: quelli a tasso variabile oscillano tra il 4 e il 4,5% e quelli a tasso fisso tra il 5,5 e il 6%, in virtù di uno spread che sta tre punti sopra l’ Euribor e l’ Eurirs, gli indicatori presi a riferimento. Anche per le imprese il tasso finito oscilla tra l’ 8 e il 10%, proibitivi per chiunque voglia fare investimenti ma anche solo per chi voglia evitare che i margini di guadagno vengano divorati dagli oneri finanziari. La vox populi narra che banche con meno liquidità (Mps e Banco Popolare) non solo hanno bloccato ogni erogazione, hanno addirittura cercato di dirottare gli utilizzi di linee accordate su altri istituti. Sostiene Fabio Bolognini di Linker, società di consulenza finanziaria per le Pmi: «Molte imprese non sanno su quanto credito possono effettivamente contare nel 2012 e sono preoccupate da improvvise richieste di rientro che le metterebbero in grande difficoltà». I racconti che Bolognini fa su twitter con il profilo Linkerbiz ci restituiscono lo spirito (amaro) del tempo. Presentare un nuovo cliente a una banca significa sentirsi chiedere la lista delle proprietà personali. «Sembra di essere tornati venti anni indietro» annota. Le banche non hanno voglia di entrare nel merito del rischio imprenditoriale e si limitano a chiedere di mettere liquidità personale a garanzia dei fidi per l’ azienda. Quando poi non si tratta di finanziare solo il circolante ma si tratta di ristrutturare il debito allungando le scadenze e abbassando le rate 2012 i dolori si fanno lancinanti. Alcuni istituti si rendono disponibili pur di evitare future sofferenze, altri fanno partire azioni legali pur sapendo che i tempi della giustizia sono biblici e quindi l’ unico risultato concreto sarà di rimandare il problema e contabilizzare le perdite tra 3 o 4 anni. Ma come si sa il personale bancario in grado di affrontare professionalmente le ristrutturazioni dei Piccoli non abbonda e i migliori sono collocati a risolvere i problemi delle grandi aziende. Insomma il rischio che paventano in tanti dentro Rete Imprese Italia è che la stessa domanda di credito entri in una fase di stanca. Dopo il danno la beffa. Nessun piccolo imprenditore a queste condizioni se la sente di investire, vede che le banche vogliono avere le mani libere e non gli resta che arrendersi. Il nostro uomo dimenticato tira i remi in barca e se trova un compratore, da qualsiasi angolo del mondo venga,si convince che è il momento giusto per vendere.
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