• venerdì , 22 Novembre 2024

Banche, la liquidità non basta prima si salva l’euro poi serve rivedere Basilea III

L’ aumento di capitale di Unicredit è uno spartiacque. Nella sua complessità, tra crolli vertiginosi e brusche risalite, aiuta però a dipanare la matassa. Tra analisti, osservatori e anche regolatori è diffusa ormai la convinzione che dei 115 miliardi di rafforzamento dei parametri di capitale richiesti dall’ Eba alle banche europee, ben pochi arriveranno dal mercato. Tanto meno dopo la raffica di poco spiegabili downgrading di Standard & Poor’ s. Il Santander aveva aperto la strada rafforzando i suoi requisiti patrimoniali con strumenti interni e qualche cessione, poi l’ operazione Unicredit ha confermato che in questa fase il ricorso al mercato è difficile e pericoloso. Difficile perché il mercato reagisce male alla richiesta di denaro, tanto che organizzare oggi consorzi di collocamento e garanzia è praticamente impossibile per quasi tutti. L’ aumento lo faranno probabilmente Deutsche Bank e pochissimi altri. Pericoloso perché la reazione negativa dei mercati alla notizia di nuovi aumenti determina preoccupazioni nei depositanti e indebolisce le banche stesse rendendone meno stabili gli azionariati. Sotto accusa è l’ Eba, neonata authority europea, fragile come tutti i neonati, e in più con alle spalle già una serie di errori: dagli stress test dell’ estate subito giudicati insufficienti (giudizio confermato dalla crisi di Dexia, che quegli stress test avevano promosso), alla decisione infelice di imporre alle banche di valutare i titoli pubblici in portafoglio a prezzi di mercato anche se tenuti fino alla scadenza, per finire poi con questa fretta di imporre una ricapitalizzazione al sistema prima ancora che l’ impianto costruito per mettere in sicurezza l’ euro (il fondo salva stati Esm) entrasse in funzione. Una serie di errori ormai chiari ai più, che si sta cercando di riparare con una difficile marcia indietro che salvi la faccia e il futuro dell’ Eba. «La logica dell’ Eba è peculiare dice Stefano Visalli, che per McKinsey segue il mondo del credito chiede alle banche di rafforzarsi contro il rischio di default dei debiti sovrani, ma in realtà questo è un rischio non assicurabile: se un paese va in default non c’ è capitale delle banche di quel paese che possa bastare a reggerne gli effetti». Le contraddizioni tra l’ impianto di Basilea III e le prescrizioni dell’ Eba da una parte, e la situazione dell’ economia europea e le scelte della Bce dall’ altra erano già chiare, l’ aumento di capitale di Unicredit le ha fatte esplodere. Lo stesso presidente della Bce Mario Draghi ha definito «procicliche» le prescrizioni dell’ Eba, nel senso che determinano un prosciugamento di quella liquidità e di quella disponibilità di credito che la stessa Bce sta invece cercando di evitare. Unicredit, varando il suo aumento per prima, e in virtù della sua struttura di banca paneuropea, ha finito così per trovarsi suo malgrado al centro di uno snodo cruciale per il destino della moneta unica e dell’ Unione stessa. Lo snodo riguarda i tempi, i modi e i comportamenti dei soggetti economici e delle autorità nelle mani dei quali c’ è il futuro dell’ Euro e della Ue. In questo primo trimestre del 2012 si giocano i tempi supplementari della partita per il salvataggio dell’ Euro. Grazie anche alla manovra che ha messo in sicurezza i conti dell’ Italia che ha reso possibile uno schiarimento dell’ orizzonte, ora i contorni del disegno cominciano a intravedersi. I pilastri sono tre: le decisioni della Bce, il “fiscal compact” sul rigore dei bilanci pubblici e l’ Efsf (che diventerà Esm). La Bce ha dato il via aprendo un rubinetto possente per ridare liquidità al sistema fornendo alle banche dell’ eurozona quasi 500 miliardi di euro a tre anni. Riducendo le riserve dal 2 all’ 1 per cento ha poi liberato altri 230 miliardi di liquidità e si prevede una nuova operazione (si parla questa volta di mille miliardi) entro la fine di febbraio. In tutto si tratterebbe di oltre mille 500, forse 1700 miliardi all’ uno per cento che le banche avranno a disposizione. Per fare ché? Innanzitutto per non venire strozzate dalla crisi di liquidità che ha stremato i mercati, poi per acquistare titoli di stato a breve (gli effetti già si vedono con il crollo degli spread sui titoli fino a tre anni), per evitare di dover correre a collocare obbligazioni a tassi improbabili e semmai ricomprarsi obbligazioni proprie a prezzi scontati, per finanziare l’ economia. E’ una operazione che potrebbe cogliere due risultati insieme: consentire alle banche che si finanziano a Francoforte all’ 1 per cento di investire al 2 o al 3 in titoli pubblici di ricostruirsi dei margini; favorire l’ abbattimento dei tassi sui titoli pubblici a breve. La Bce quindi sta facendo la sua parte. Poi c’ è il “fiscal compact”. Nella versione un po’ più dolce che Monti è riuscito ad ottenere dovrebbe non strangolare l’ economia e nel contempo rassicurare i contribuenti tedeschi tanto da consentire di rendere solido il pilastro numero tre, un fondo salvastati rafforzato. Angela Merkel ha già annunciato la sua disponibilità ad aumentarne la dotazione, vedremo nelle prossime settimane di quanto. Il decollo del fondo salva stati, la cui funzione finale sarà quella di acquistare titoli pubblici a lungo termine per calmierarne i tassi, dovrebbe mettere un tetto agli spread e avere sui titoli a lungo termine lo stesso effetto che l’ azione della Bce sta avendo su quelli a breve. Il fondo dovrà intervenire per finanziare gli stati in difficoltà per evitarne il default e potrebbe essere utilizzato anche per ricapitalizzare le banche. A questo punto, se i tre pilastri entro aprile saranno solidi e operativi, e se si riuscirà a neutralizzare le intemperanze delle società di rating, è possibile che la febbre dell’ euro cominci a scemare. E qui arriva l’ aumento di capitale Unicredit, che fa esplodere la contraddizione tra questo disegno e l’ impostazione dell’ Eba e di Basilea III. «Perché tutto funzioni bisogna ora rivedere le filosofie alla base delle indicazioni dell’ Eba e di Basilea III dice Rainer Masera, economista e raffinato conoscitore dei mercati finanziari e delle dinamiche europee l’ enfasi sul capitale delle banche è sbagliata, e l’ intreccio tra capitale e debiti sovrani in portafoglio ancora di più». Se si vuole che i tassi sui titoli pubblici e sul credito all’ economia scendano, le banche devono poter comprare Bot e Btp senza pagare pegno in termini di capitale di vigilanza, come è avvenuto da sempre e fino a pochi mesi fa, quando anzi erano le autorità di vigilanza stesse a considerare i titoli pubblici lo strumento principe che le banche dovevano utilizzare per impiegare la loro liquidità. Il primo effetto che l’ operazione Unicredit sta avendo è quello di consolidare la convinzione che l’ enfasi sul capitale non è utile in questa fase a risolvere i problemi ma rischia anzi di aggravarli. Anche perché, spiega Visalli «le banche hanno difficoltà a raccogliere capitale sui mercati per l’ incertezza sulla entità della remunerazione, che a sua volta deriva dalle incertezze sul futuro dell’ euro e da una più strutturale necessità di rivedere i modelli di business caratterizzati da eccessivo impiego di capitale e costi ancora troppo alti rispetto ai ricavi». C’ è un ultimo capitolo, delicatissimo, ed è la rinazionalizzazione di fatto dei mercati finanziari. Le tensioni degli ultimi tre anni hanno determinato in alcune autorità di vigilanza atteggiamenti di chiusura, ed è questa una delle ragioni per cui la liquidità circola meno in Europa. E’ un problema molto grave, che va contro la filosofia dell’ Unione e probabilmente in alcuni casi anche contro i Trattati. E’ fondamentale che in breve tempo questa tendenza si inverta perché ne va del futuro stesso dell’ Unione Europea: se i capitali possono circolare meno liberamente di quale mercato unico parliamo? Ebbene Unicredit, che si è costruita come banca europea, è nel bel mezzo di tutto ciò. Il suo modello si basa su un mercato dei capitali continentale libero e funzionante, e quel modello ora deve fare i conti invece con una pericolosa inversione di tendenza. L’ auspicio è che la maggiore integrazione fiscale porti ad una maggiore integrazione anche tra le attività di vigilanza e, alla fine, al rilancio del progetto europeo stesso. Perché se non ci sarà l’ Europa neanche il gruppo Unicredit, così com’ è oggi strutturato, avrà più senso.

Fonte: Repubblica del 16 gennaio 2012

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