Il crollo Ligresti. L’alleanza di Piazzetta Cuccia con le coop. La sfida di Arpe. La partita Rcs. Ecco come sta cambiando la mappa del potere.
Tra colpi di scena, alleanze impreviste, voglia d’imboscate, la finanza sembra tornata ai tempi d’oro. In salotti fino a ieri proibiti come quello di Unicredit avanzano rampanti protagonisti come Francesco Gaetano Caltagirone e Diego Della Valle, assetti intoccabili come l’asse Mediobanca-Generali appaiono incrinati, sogni impossibili come quello di Unipol di sfidare il leone di Trieste, trovano varchi inaspettati. Cosa sta succedendo ai piani alti del potere economico? A essere cambiato, innanzitutto, è lo Zeitgeist, lo spirito del tempo. Una “congiunzione astrale” davvero unica vede i partiti svirilizzati, la Borsa che viaggia su valori bassissimi, l’uscita da Intesa Sanpaolo – cabina di regia di tanti affari italiani – di Corrado Passera, che da banchiere “di sistema” a ministro non ha ancora pienamente ricalibrato la propria influenza; ma anche l’assenza nel dicastero dell’Economia di un trapezista dei poteri forti come Giulio Tremonti, e l’uscita di scena di Cesare Geronzi, che con Gianni Letta faceva da stanza di compensazione degli interessi contrapposti. Infine, il tramonto di Silvio Berlusconi, che come convitato di pietra influiva in un modo o nell’altro in tutte la partite. Il primo risultato è stato il big bang della galassia Ligresti, fino a ieri superprotetto pivot della finanza ambrosiana di osservanza berlusconiana. Don Salvatore e la sua cucciolata, da Jonella regina dei consigli d’amministrazione a Giulia e Paolo, devono adesso accettare di trasferire in mani altrui sia il ramo assicurativo del business di famiglia, cioè la Fonsai, che quello dell’edilizia, cioè la loro quota di Impregilo, prima impresa italiana del settore. Innescando un effetto a catena di cui ancora non si vede la fine.
Il secondo tsunami è quello che ha come epicentro Mediobanca e la complessa relazione con quella che è stata definita la sua “galassia”: azionisti e controllati, sfere di influenza e protettorati. Il mondo dei solotti buoni, sui quali il premier Mario Monti non ha avuto peli sulla lingua: hanno tutelato l’esistente, e non sempre per il meglio, ha detto durante la visita in Borsa. Ebbene anche lì, a partire da Unicredit – a monte – fino alle Generali – a valle – la “pax” garantita da Piazzetta Cuccia sembra messa in discussione. Innazitutto c’è la dinamite delle nuove norne sull’incompatibilità dei doppi incarichi nella governance di banche e assicurazioni, che imporrà molti addii dal salotto (esempio: due pesi massimi come Fabrizio Palenzona e Dieter Rampl dovranno optare tra Unicredit e Mediobanca). In secondo luogo, c’è la sfida che la finanziaria Palladio e Fabio Arpe hanno lanciato ai progetti di Alberto Nagel sul riassetto delle spoglie Ligresti, che potrebbe scrivere un altro epilogo al salvataggio Fonsai. Di certo, il futuro è gravido di colpi di scena. Abbastanza da far uscire il piccolo mondo antico della finanza italiana dai suoi rituali, e da mettere in crisi i “guardiani dello status quo”, come li ha definiti l’economista Salvatore Bragantini? Vediamo scenari e variabili.
La foto dei Lord Intanto, chi sono questi guardiani? Secondo un paper appena pubblicato da tre studiosi dell’assetto del capitalismo italiano, Carlo Drago, Stefano Manestra e Paolo Santella (rispettivamente università di Napoli, Banca d’Italia ed Esma), la sua caratteristica di fondo è quella della collusione: stabilita non solo dagli incroci azionari, ma soprattutto dalla presenza negli organismi di governo delle imprese di un gruppo ristretto di persone, sempre le stesse. Una élite degli affari che si avvale di relazioni personali e dello scambio di informazioni per amplificare la propria influenza, e che riesce a dominare a spese delle minoranze. Seguendo solo le partecipazioni rilevanti (superiori al 2 per cento) nell’ambito delle Blue chip della Borsa italiana, lo studio mette a fuoco il peso della galassia Mediobanca, dove la banca di Cuccia fa da collante a una fetta cospicua di regine del listino, legate per un verso o per l’altro da rapporti azionari: considerando solo le 40 imprese del Ftse Mib, la galassia rappresentava il 36 per cento della capitalizzazione totale del mercato nel 2008, è ancora quasi del 30 oggi; allargando il raggio a soggetti che con essa hanno comunque delle relazioni (vedi grafico a pagina 130) può arrivare al 37 per cento. Un blocco di interessi a cui fa da contraltare solo quello delle blue chip a partecipazione pubblica.
Gli incarichi multipli negli organismi di governo societario all’interno della galassia, avvertono gli autori, conducono poi a un manipolo di “Lord” che governano il cuore del nostro capitalismo; il paper non li nomina, ma l’identikit è chiaro: Berlusconi, Ligresti, Pesenti e Benetton sono azionisti di peso di Mediobanca, Diego Della Valle, Francesco Gaetano Caltagirone e Leonardo Del Vecchio di Generali, che è il gioiello della corona di Mediobanca, insieme azionisti e consiglieri d’amministrazione. A questi occorre aggiungere i Boroli-Drago, signori di Lottomatica e azionisti di Generali, e Marco Tronchetti Provera, vicepresidente di Mediobanca e azionista di Pirelli, partecipata da Mediobanca, Generali, Benetton e Ligresti. Nove famiglie in tutto. Con un grande assente: gli Agnelli, sempre più defilati dalle trame del capitalismo nazionale, ma che peseranno in una partita imminente, quella sulla Rizzoli-Corriere della Sera.
Un barbaro alle porte Di questa foto di famiglia sta per rendersi necessario un nuovo scatto: accanto ai volti noti spunta un signore robusto, look brianzolo più che da piazza Affari: Carlo Cimbri. Ma andiamo con ordine. Come si diceva, i Ligresti si preparano a uscire di scena. Questo comporterà la ritirata da parecchi posti in consigli d’amministrazione dei membri della famiglia, Jonella innanzitutto, che detiene il record di sei poltrone in altrettanti cda (vedi tabella a pagina 130). Ma soprattutto un nuovo destino per le loro preziose partecipazioni, tra cui quelle in Mediobanca e in Rcs. Chi prenderà il loro posto? Per Impregilo, si è già fatto sotto Beniamino Gavio, che ha fatto sua anche la quota dei Benetton. Ma è sul ramo assicurativo la partita più interessante.
Per il salvataggio, il vertice di Mediobanca, che come Unicredit ha prestato molti soldi a Fonsai, ha pescato fuori dalla galassia: la Unipol delle cooperative rosse, praticamente un marziano, di cui Cimbri è amministratore delegato. Per capire la scelta, basta seguire il denaro. Secondo la tabella elaborata per “l’Espresso” da R&S, il centro studi di Mediobanca, sui gruppi più liquidi, le coop nel loro insieme possono contare (in base ai conti 2010) su più di un miliardo e 900 milioni di liquidità: più di Fininvest, Eni, o Stmicroelectronics (vedi tabella a pagina 128). Ma soprattutto molto più dei mezzi liquidi dei gruppi dell’inner circle della galassia, come l’Italcementi dei Pesenti, o la Pirelli di Tronchetti. La crisi, è questa un’altra novità di cui tenere conto, ha messo a dieta le grandi famiglie, e chi ha il proprio business industriale da curare non può più permettersi gli sfizi di un tempo. Viceversa, risulta premiato chi ha liquidità, e capacità di leva. Tanto che a manovrare contro l’affare è un outsider, come la Palladio di Roberto Meneguzzo, che ha rastrellato un pacchetto di Fonsai insieme alla Sator di Arpe, e ora vuole sedersi al tavolo (vedi pezzo a pagina 132).
Camera con vista Per altri, invece, la crisi apre nuove opportunità. Lo si è visto con l’aumento di capitale di Unicredit, dove hanno fatto il loro ingresso Caltagirone, il patron di Luxottica Leonardo Del Vecchio, e quello di Tod’s Della Valle. Ottima occasione di investimento finanziario? Certo. Ma la banca guidata da Federico Ghizzoni è anche il maggior azionista di Mediobanca (ha l’8,6 percento), e una camera con vista al piano attico della galassia sono in pochi a poterselo permettere. Loro tre sì. Non è detto però che vada loro altrettanto bene nella caccia a un posto in consiglio. Una nuova norma voluta dal governo Monti promette infatti di rompere con un colpo di maglio quegli “interlocking directorates”, gli incarichi incrociati, su cui hanno costruito la loro rete i Lord. E così, visto che Della Valle siede nel consiglio di Generali come Caltagirone, per entrambi dovrebbe scattare il divieto di cumulo e l’obbligo di scegliere tra l’uno e l’altro; l’unico libero è Del Vecchio, che dalle Generali si è dimesso da tempo.
Sfide e soldi Oggi più che mai a condizionare i movimenti del potere economico sono i soldi. Poiché in giro ce ne sono pochi, chi detiene il capitale, comanda. Chi è in queste condizioni? Le banche – Unicredit e Intesa in testa – che per molti anni hanno fatto il bello e il cattivo tempo, oggi hanno le loro gatte da pelare tra crediti incagliati e ricapitalizzazioni. Le imprese private hanno preferito crescere a debito, piuttosto che irrobustire la propria struttura patrimoniale. E oggi si trovano in difficoltà. Il mercato offre nuove interessanti partite: “C’è il business della sanità privata che avanza”, dice Mauro Macchi, managing partner di Accenture, “nell’energia c’è la riconfigurazione delle utilities e delle reti, la meccanica di automazione va forte: il fattore del successo è la capacità di innovare”. Per entrare in queste partite servono munizioni. E chi le possiede? Dalla tabella a pagina 129 appare chiaro che a fare la parte del leone nell’accumulo di capitale nel recente passato sono state le aziende pubbliche: per ogni euro di capitale dell’azionista, l’Enel ne ha “presi” 8,9 dal mercato, Finmeccanica 5,3. Ma anche i privati hanno fatto man bassa, Fiat e Telecom in testa. Ora reperire nuovi mezzi è diventato difficile.
Il grande giacimento di capitale sono rimaste le assicurazioni: alle Generali non a caso Mediobanca ha assegnato il ruolo di holding di partecipazioni dei soggetti della sua galassia; per la Fonsai, non esita a cooptare Unipol, anche a costo di irritare Trieste con un concorrente in crescita.
Media, croce e delizia La penuria di capitale ha il suo peso anche nella prossima partita del salotto buono, la Rcs, che con la chiusura del bilancio 2011 deve affrontare il rinnovo dei vertici. Cosa fanno gli azionisti di controllo, riuniti in un patto di sindacato che detiene il 63 per cento del capitale? Alcuni come Benetton, Toti e anche gli Agnelli, temendo un aumento di capitale per ripianare le perdite, avevano lanciato segnali di disimpegno. Il socio emergente, il signore delle cliniche Giuseppe Rotelli (un pacchetto di azioni dell’11 per cento, per di più fuori dal patto che governa la società, e quindi con le mani libere) puntava invece sull’aumento di capitale per crescere. Ma i tempi si sono fatti bui, e Rotelli nel frattempo ha speso 400 milioni per assicurarsi l’ospedale San Raffale. Così, per ora, è prevalsa la linea dello status quo: niente aumento di capitale, e bocce ferme. In attesa che la faccenda Fonsai-Unipol si risolva. Perché? Perché il patto di Rcs prevede che un cambio di proprietà della quota di uno dei pattisti mette in discussione la sua partecipazione al patto stesso. A quel punto, il 5,4 per cento dei Ligresti potrebbe andare al migliore offerente (magari Della Valle?). E cambiare di nuovo i giochi.
C’è trambusto in salotto
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