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Felicità è rottamare il Pil

Siamo davvero alla vigilia del “superamento del Pil”, cioè della elaborazione di una misura più adeguata del Prodotto interno lordo per valutare il progresso delle società moderne? Dopo anni di dibattito tra economisti e statistici, nel giro di pochi mesi gli avalli politici a una diversa contabilità nazionale sono stati numerosi e importanti.

Il 7 settembre sono state pubblicate le proposte della commissione voluta del presidente della Repubblica francese Nicholas Sarkozy per trovare una via d’uscita razionale dal dilemma tra il desiderio dei cittadini di crescita economica e l’accresciuta sensibilità verso altri temi di qualità della vita, a cominciare dalla tutela dei beni ambientali. La commissione era guidata dagli economisti Joseph Stiglitz (premio Nobel 2001), Amartya Sen e Jean Paul Fitoussi. Stiglitz aveva già affrontato lo stesso tema negli Stati Uniti, come capo del Council of economic advisors, durante la presidenza Clinton, ma le sue proposte erano state boicottate dalle lobby energetiche, in particolare dai produttori di carbone.
Ora le resistenze stanno via via cadendo anche a causa della crisi economica. Dal 2004 al 2007, spiega lo stesso Stiglitz, il Pil americano è aumentato solo a causa dei profitti finanziari: più di metà delle famiglie americane ha in realtà peggiorato la propria situazione, con un impoverimento che preludeva al tracollo dei valori immobiliari, ma che la vecchia contabilità non aveva percepito.
Ancor prima del rapporto Stiglitz, il 4 settembre, la Commissione europea ha adottato il documento “Pil e oltre ” che raccomanda di arricchire i conti nazionali con nuovi dati ambientali e sociali. Analoghe raccomandazioni sono arrivate dalla riunione del 24 e 25 settembre a Pittsburgh del G 20, che riunisce i principali Paesi industrializzati e in via di sviluppo.
Il vero salto di qualità nel dibattito, con un confronto tra oltre 1700 rappresentanti di 130 Paesi, si è avuto dal 27 al 30 ottobre a Busan, in Corea, nei quattro giorni di convegno del terzo Forum mondiale promosso dall’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, sul tema “Statistiche, conoscenza e progresso”. Tutte le esperienze di misura della felicità e del benessere, dall’indice di “Gross National Happiness” del Bhutan alle rilevazioni australiane sulle determinanti della felicità nelle comunità locali, sono state messe a confronto, nel tentativo di costruire un consenso su metodologie comuni. L’incontro ha coronato il successo dell’italiano Enrico Giovannini, che in otto anni a capo delle statistiche dell’Ocse ha voluto e promosso questi World Forum portandoli a una dimensione mai raggiunta in precedenza dalle iniziative dell’Ocse.

Dopo l’apoteosi di Busan si aprono però i problemi più seri, non solo perché Giovannini ha lasciato il quartier generale dell’Ocse a Parigi per tornare a Roma come presidente dell’Istat. Ci sono innanzitutto forti difficoltà tecniche per definire indici di benessere che siano effettivamente validi in tutto il mondo. Gli stessi Paesi in via di sviluppo sono talvolta scettici. “Non vorremmo – ha detto Ahmed Lahlimi Alami, Alto commissario per la programmazione del Marocco – che questi nuovi indici accentuassero le nostre frustrazioni”. Anche la Cina guarda con una certa diffidenza a queste iniziative. In parte perché provengono dall’Ocse, un’organizzazione di cui non fa parte (come non ne fanno parte altri Paesi importanti quali Russia, India, Brasile, Indonesia, Sudafrica), ma anche perché gli indici dei benessere comportano un processo capillare di rilevazione e di confronto a livello locale, col rischio di accentuare le tensioni interne al grande paese asiatico.
Qualche gelosia si riscontra anche a livello internazionale: l’Ufficio statistico dell’Onu è impegnato nella verifica e nell’aggiornamento dei Millennium development goals (Mdg), gli obiettivi di sviluppo al 2015 decisi dalle Nazioni Unite nel 2000. Gli Mdg si sono già dimostrati inadeguati a misurare il progresso (per esempio, non tengono adeguatamente conto dei problemi ambientali), ma il direttore dell’Unsd, il cinese Paul Cheung, non vede di buon occhio che una diversa organizzazione internazionale elabori altri parametri di progresso.
Per evitare che il progetto si incagli, l’Ocse punta tutto sul networking, cioè sul massimo coinvolgimento dal basso di agenzie e studiosi interessati a misurare la qualità della vita. E’ stato lanciato un “wikiprogress” che consentirà a tutti di interagire in rete apportando nuove informazioni sulla qualità dello sviluppo. E il vicedirettore dell’Ocse Pier Carlo Padoan ha annunciato da Busan una “road map” che prevede iniziative specifiche di miglioramento dei sistemi statistici. Al primo punto c’è l’integrazione dei dati sul Prodotto interno lordo, per esempio con l’analisi del reddito disponibile delle famiglie e della sua distribuzione. Al secondo ci sono gli studi sui nuovi indici di felicità, per mettere ordine in una materia che sta diventando caotica. Al terzo infine, il calcolo del capitale (ambientale, umano, educativo) per evitare per esempio che, come accade adesso, il Pil prodotto distruggendo le risorse naturali possa figurare come una voce attiva, quando invece è soltanto una sottrazione di ricchezza alle nuove generazioni.

Fonte: Il Mondo del 7 novembre 2009

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