• venerdì , 22 Novembre 2024

Competitivi altrimenti rischiamo

Una sostanziosa apertura di credito sulla manovra. E un altrettanto pesante avvertimento: senza un recupero di competitività l’Italia rischia di brutto.
Il governo può essere soddisfatto della “pagella” che la Banca d’Italia gli ha riservato quest’anno. Il governatore Mario Draghi, pur di fronte a informazioni frammentarie e a misure che entrano ed escono da un testo in evoluzione, ha preso atto della volontà del governo di correggere il deficit del bilancio pubblico per 25 miliardi nei prossimi due anni. Intervenendo là dove la Banca d’Italia ha detto tante volte che bisogna intervenire: tagli alla spesa corrente e lotta all’evasione.
Draghi è stato prudente. E non poteva non esserlo. La storia recente ha insegnato che non sempre agli annunci seguono i fatti. «Negli ultimi dieci anni – ha ricordato il governatore – la spesa è cresciuta in media del 4,6% l’anno, aumentando di quasi 6 punti in rapporto al Pil. Quindi è necessario un attento scrutinio degli effetti della manovra per garantire il conseguimento degli obiettivi».
Prima di suonare le campane a festa, dunque, bisognerà verificare che i tagli sopravvivano alla reazione di chi da essi è toccato, ai ritocchi parlamentari e alle compensazioni di varia natura. Come bisognerà controllare che i provvedimenti contro l’evasione siano applicati oltre che scritti nelle norme. Perché il “Grande Fratello” telematico del fisco esiste ed è efficace ma funziona solo se qualcuno schiaccia i bottoni giusti. Altrimenti se ne sta lì, buono buono. E gli evasori, «responsabili – come ha detto Draghi usando un’espressione forte – della macelleria sociale», possono continuare a far pagare agli altri le tasse che dovrebbero pagare loro.
Quindi, va bene l’impostazione della manovra e va bene tutto il lavoro fatto sulla spesa previdenziale per alzare l’età pensionabile e rendere sostenibile il sistema. Ma la strategia di politica economica non può esaurirsi qui.
Occorre un disegno in grado di rimettere in moto la crescita. E il messaggio di Draghi, tradotto in termini espliciti, è piuttosto preoccupato: attenzione, nell’area dell’euro chi perde competitività fa una brutta fine. Come la Grecia. E l’Italia negli ultimi anni di competitività ne ha persa parecchia.«Nell’Unione monetaria – ha detto il governatore – stagnazione, disoccupazione e, alla lunga, tensioni nel bilancio pubblico sono l’inevitabile conseguenza della perdita di competitività. La correzione dei conti pubblici va accompagnata con il rilancio della crescita». Ecco, il fulcro delle Considerazioni finali è proprio questo: tutto quanto il governo decide deve essere finalizzato all’obiettivo di riattivare lo sviluppo.
La lotta all’evasione fiscale serve se consente di ridurre le tasse sul lavoro e sulle imprese. Il federalismo «deve» (e non «dovrebbe») aumentare «l’efficienza nell’uso delle risorse». I tagli al pubblico impiego e alle spese dei ministeri «devono fornire l’occasione per ripensare il perimetro e l’articolazione delle amministrazioni, per razionalizzare l’allocazione delle risorse, riducendo sprechi e duplicazioni tra enti e livelli di governo». La lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata sono il modo migliore per affrontare il ritardo nello sviluppo delle regioni meridionali,e in particolare di Campania,Sicilia e Calabria.
La lista poteva essere più lunga (giustizia, infrastrutture, ricerca, educazione, formazione, liberalizzazioni) ma Draghi è stato chiaro: la crescita prima di tutto, e la sola strada che porta alla crescita passa per una maggiore produttività. Non c’è più il campanello del tasso di cambio che suona la fine della ricreazione in questa strana Euroarea, dove la moneta è unica e le politiche no, ma da cui «non si torna indietro». Tuttavia il rischio di bruschi risvegli dopo anni di intorpidimento rimane alto perché i mercati sono lì, pronti a castigare chi non rispetta gli impegni. La manovra, se manterrà le promesse, è un passo importante verso quella «disciplina di bilancio» che va conciliata con il «ritorno alla crescita». Una pagina ancora tutta da scrivere.

Fonte: Sole 24 Ore 1 giugno 2010

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