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La tv di Stato deve essere privatizzata

Caro Direttore, sono parzialmente d’ accordo con Aldo Grasso: il problema non è (tanto) nei compensi che i protagonisti Rai percepiscono, ma nel taglio, contenuto e qualità delle trasmissioni. A tal proposito, qualche giorno fa, proprio sul Corriere, rispondendo alle domande di Aldo Cazzullo, ho detto quel che penso: spero, un giorno, di vedere la rai privatizzata, conservando a servizio pubblico una sola rete. Se Grasso avrà voglia e interesse a discuterne, ne sarei felice. In attesa di quel giorno, che non è proprio imminente, la pubblicazione dei compensi è una giusta misura di trasparenza, visto che il bilancio Rai è retto dai soldi dei contribuenti, che non li versano spontaneamente e che, quindi, hanno tutto il diritto di sapere come vengono utilizzati. C’ è, però, avverte Grasso, l’ aspetto morboso, relativo al volere sapere e al confrontare i redditi del Tizio e del Caio. A me non pare che vi sia della morbosità, in ciò. Ma ove sia, perché Grasso, e quanti nutrono le sue preoccupazioni, non s’ è mai fatto venire tale scrupolo quando il giornale dove scrive, come tutti gli altri, pubblica le classifiche dei redditi in capo ai politici? Perché sono degli eletti, mi risponderà. Giusto. Che dire, allora, dei redditi dei manager pubblici, o degli alti funzionari? Tutta morbosità? Non credo, a me pare trasparenza. Per aiutare un dato ad essere letto con lucidità e competenza, e non con morbosità, servono anche editorialisti capaci di argomentare con ragionevolezza. Sul tema in questione ha scarseggiato. Renato Brunetta ministro per la Pubblica amministrazione e l’ Innovazione ————— Caro ministro, in Italia il denaro e l’ ironia cominciano a scarseggiare. E io mi adeguo. Non sono contrario alla pubblicazione dei lauti guadagni dei conduttori televisivi, spesso elargiti non per meriti professionali ma per favorire questo o quel politico. Magari in luoghi più appropriati, come il sito della Rai. Il compenso esibito nei titoli di coda è, tecnicamente, un controsenso. Bisognerebbe dividerlo per il numero di puntate, rapportarlo all’ audience e agli investimenti pubblicitari. Insomma, per correttezza, i titoli di coda dovrebbero essere compilati da un commercialista e durare almeno un quarto d’ ora (a.g.)

Fonte: Corriere della Sera del 11 giugno 2010

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