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Purchè il Paese venga prima

Al di là delle alchimie politiche, che cosa serve veramente al Paese dopo la spaccatura della maggioranza di governo? La tentazione di andare alle urne appare la soluzione più semplice, ma non è certo la migliore. Siamo usciti indenni, anche grazie al rigore sui conti di Tremonti, dalla crisi finanziaria degli ultimi tre anni, non è certo che supereremmo una nuova instabilità dei mercati con un governo dimissionario e una lunga lacerante campagna elettorale. In altre democrazie, migliori, si direbbe, il Paese viene prima, Country first. Da noi il Paese viene spesso dopo, a volte non viene nemmeno. Le ipotesi, tutte suggestive, ma difficilmente praticabili, di governi tecnici o di larghe intese, appartengono a una manualistica politica resa più ricca di varianti dalla pausa agostana. Quando Berlusconi minaccia le elezioni, salvo poi smentirsi il giorno dopo, dimentica che le Camere le scioglie il Capo dello Stato. La Costituzione impone a Napolitano di verificare l’ eventuale esistenza di altre maggioranze. Se la Lega rimane fedele a Berlusconi, non ne esistono. Zero. Ma mettiamo anche il caso che possano esserci maggioranze alternative. Bene, la legislatura verrebbe salvata escludendo dal governo chi ha vinto le elezioni del 2008, tradendo sostanzialmente il mandato popolare. Non dovrebbero augurarselo nemmeno le opposizioni. Un regalo così, il Cavaliere, in evidente affanno, non immaginerebbe mai di poterlo ricevere. E la vita grama di un’ eterogenea armata, con dentro tutto e il suo contrario, non farebbe altro che preparare una nuova, e forse ancora più larga, vittoria elettorale di Berlusconi. Inutile poi farsi illusioni sul fatto che il Cavaliere possa appoggiare governi, modello Grosse Koalition, alla tedesca. Ormai lo conosciamo bene. Come in azienda, il capo è uno solo: lui. E chi ha votato Pdl ha votato una scheda con su scritto il suo nome. Piaccia o no, e alla maggioranza degli italiani sembra ancora piacere, la realtà è questa e da questa si deve partire. Dunque, ricapitolando: elezioni anticipate no, altri governi no. E allora, come se ne esce? In un solo modo, con un accordo di legislatura, chiamiamolo pure così, che coinvolga tutte le componenti del centrodestra, dal Pdl, alla Lega, a Futuro e Libertà. Possibile? Obbligato se non si vuole andare alle urne con tutti i rischi che ciò può comportare, non solo per il Paese, lo abbiamo già detto, ma anche per lo stesso centrodestra, in particolare al Senato. Un’ intesa programmatica potrebbe essere raggiunta facilmente su molti temi, dall’ economia, nella quale il governo ha fatto generalmente bene, al federalismo, al Sud. Lo scoglio difficilmente superabile sarebbe costituito dalla giustizia. La saggezza suggerirebbe di accantonare leggi ad personam e tentazioni di condizionare la stampa, come per la sciagurata legge sulle intercettazioni, e rimettere al primo posto le questioni essenziali per la crescita e per la stabilità. Le esigenze dei cittadini prima, anche in tema di giustizia, specialmente civile. Nuove e più convincenti risposte richiede quella vasta base elettorale, costituita dal ceto medio, piccole imprese, professionisti e autonomi, in particolare del Nord, che mal sopporta il pessimo spettacolo, tra comitati d’ affari e improbabili ministri, degli ultimi mesi. Quale grande occasione per segnare un punto di svolta in una legislatura disgraziata e riprendere un po’ di quello spirito liberale finito troppo presto alle ortiche. Ci illudiamo? Forse, ma il Paese viene prima.

Fonte: Corriere della Sera 8 agosto 2010

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