• giovedì , 28 Novembre 2024

La fiducia al Cav.è un esempio di democrazia, la violenza di piazza no.

Si fa presto a fare dell’ironia sulle performance di Domenico Scilipoti e a commentare con malignità i “passaggi di campo” di una mancata di deputati i cui voti contrari hanno consentito di bocciare, alla Camera, le mozioni di sfiducia contro il Governo. Eppure, il 14 dicembre, 314 deputati hanno salvato la democrazia in Italia. Il piano golpista non è riuscito. Ovviamente a parlare di tentativo di golpe si fa un’evidente forzatura. Ma è bene non sottovalutare la coincidenza di tanti fatti che in quella storica giornata si erano dati appuntamento, dopo un’accurata preparazione compiuta e sperimentata, a lungo, nei palazzi del potere e nelle piazze.
Che cosa sarebbe dovuto succedere, il 14 dicembre, se il diavolo non ci avesse infilato la coda? La Camera avrebbe votato la sfiducia al Governo, mentre i manifestanti lo “sfiduciavano dal basso”. Così, il Cavaliere sarebbe salito al Colle a dimettersi (magari qualcuno sperava anche che il Capo dello Stato lo avesse fatto arrestare da un ufficiale dei Carabinieri). Di conseguenza, sarebbe scoppiato il tripudio popolare a festeggiare la caduta del tiranno e a rivendicare un esecutivo antiberlusconiano presieduto da un nuovo Piero Badoglio.
Invece, visto fallire l’obiettivo, le “guardie ross” hanno messo a soqquadro il centro della capitale, nel tentativo di espugnare le sedi di un Parlamento, a loro avviso incapace di portare a termine l’abbattimento di Berlusconi e dei suoi accoliti. Per fortuna, in Italia ci sono ancora le Forze dell’Ordine pronte a difendere le istituzioni democratiche, nonostante il Governo non rinnovi i loro contratti e soprattutto, nonostante i rischi che corrono sul piano dell’incolumità fisica e di quella giudiziaria, visto che, secondo taluni magistrati, i poliziotti, i carabinieri e le guardie di Finanza dovrebbero offrire dei fiori, anziché delle manganellate, ai facinorosi e ai violenti.
A partire da domani, in concomitanza con il voto al Senato sulla riforma Gelmini, dobbiamo aspettarci altre manifestazioni ostili e violente, a Roma e in altre città. Sono mesi ormai che va avanti questa discutibile guerriglia urbana, con attacchi ai punti sensibili (uffici pubblici, stazioni ferroviarie, autostrade e quant’altro), con il blocco dell’attività didattica (persino delle inaugurazioni degli anni accademici) e con atti di vera e propria violenza nei confronti delle assemblee elettive, che ormai non fanno neppure più notizia.
Non si contano le intimidazioni nei confronti delle sedi dei partiti di maggioranza. Ma quello che preoccupa di più è il clima di sostanziale protezione che gran parte dei media tende a creare intorno a questi avvenimenti. L’analisi, in estrema sintesi, è la seguente: i manifestanti hanno ragione; purtroppo ci sono in mezzo a loro dei violenti, ma anche nei confronti di questi ultimi occorre saper distinguere; alcuni atti vanno compresi, altri no. Che male c’è ad occupare i binari per qualche ora o a salire sui tetti degli Atenei? E non appena si profila l’ipotesi della presenza nelle manifestazioni degli “agenti provocatori” di stampo classico, in tanti si attaccano a quella ricostruzione anche a costo di evocare valutazioni di altri tempi che ritenevamo sepolte.
Ci sono delle forze politiche che hanno protestato perché, nei giorni caldi, era stata predisposta una “zona rossa” invalicabile intorno alle sedi delle istituzioni. Tale decisione, a loro avviso, impediva a dei pacifici cittadini di manifestare liberamente, come se non sapessero che era stato concepito il progetto (vi è stata la prova generale a Palazzo Madama) di entrare nelle Camere per interromperne i lavori. Ricordate il prode colonnello Tejero che invade le Cortes a Madrid? Ma volendo continuare sul filo del paradosso, sarebbe il caso di andare a rileggere qualche libro di storia sui primordi del Fascismo prima della Marcia su Roma, il 28 ottobre del 1922. La violenza diffusa e metodica delle squadracce contro gli esponenti e le sedi dei partiti democratici era accompagnata da una sostanziale tolleranza da parte dei poteri dello Stato, a cominciare dalla magistratura e dalla protezione dei poter forti e dei loro giornali. Addirittura, una parte consistente della classe dirigente liberale pensava di potersene servire in funzione antisocialista. Tanto che il primo governo presieduto da Benito Mussolini era composto anche da altre personalità politiche nazionaliste, liberali e popolari.
La nostra è sola fantapolitica, perché la storia non si ripete mai; del resto, l’Italia è saldamente un Paese democratico inserito in un Continente anch’esso custode dei valori della libertà e della democrazia. Ma quando, in uno Stato di diritto, persino gli organi che ne sono custodi entrano dell’ordine di idee che tutto è ammesso (anche di abusare di poteri legittimamente attribuiti) pur di realizzare un obiettivo strettamente politico (cacciare Silvio Berlusconi a tutti i costi), si è ad un passo dallo stravolgimento delle regole.

Fonte: Occidentale del 20 dicembre 2010

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