Debito pubblico Le ipotesi L’ intervista «La proposta Amato? Non sarebbe sufficiente». Intervenire su immobili e patrimoni consentirebbe di affrontare la mole dell’ esposizione dello Stato«Imposta sulle plusvalenze immobiliari tra il 5 e il 20% per liberare risorse»
È la sfida delle sfide, il problema dei problemi: abbattere il debito pubblico per rilasciare risorse allo sviluppo del Paese. Nelle settimane scorse è stato Giuliano Amato ad affrontarlo con una proposta concreta, una patrimoniale da 30 mila euro a carico di un terzo degli italiani – i più ricchi – per ridurre la montagna di debito di altrettanto, un terzo. E di patrimoniale è tornato a parlare sabato scorso dal palco del Lingotto anche Walter Veltroni. Patrimoniale. Una misura straordinaria, durissima. Come non potrà che essere qualsiasi provvedimento che quel risultato voglia raggiungere. Per le vie ordinarie si può tamponare e questo è stato fatto. Si poteva fare di più? «Oggettivamente, nel quadro dato non si poteva o non si può fare molto di più», risponde Pellegrino Capaldo, ordinario di economia aziendale alla Sapienza e supertecnico che ha ricoperto molti incarichi in campo economico e finanziario. Secondo il quale, l’ idea di Amato ha un suo fascino ma sarebbe insufficiente, «anche se personalmente non farò certo mancare il mio contributo». Professore, condivide la politica di Tremonti? «Si può discutere questo o quel punto. Ma nel complesso dobbiamo essere grati al ministro dell’ Economia. Riesce a tenere il nostro Paese fuori dalle tempeste valutarie. E non è poco. Se non ci riuscisse, col debito pubblico che abbiamo, sarebbe una catastrofe». Però il nostro Paese cresce generalmente meno degli altri. «È vero. Il nostro Paese si immiserisce e, vorrei aggiungere, si immeschinisce sempre più, ripiegato com’ è su se stesso, rassegnato al peggio». Dobbiamo allora rassegnarci al declino? «No. Abbiamo potenzialità enormi; potremmo primeggiare in tanti settori. Ma per crescere dobbiamo investire, e questo è praticamente impossibile perché ci mancano i mezzi, soffocati come siamo da un debito pubblico di enormi dimensioni e da un bilancio statale irrigidito oltre ogni misura. Né è pensabile aumentare ancora il debito pubblico. Non ce lo consentono né la nostra partecipazione all’ Europa né la grande e incontrollabile volatilità dei mercati finanziari. E allora come si esce da questo assedio? A cosa pensa? «Dobbiamo aggredire con determinazione il debito pubblico. Penso ad una sorta di «privatizzazione» del debito. Se è vero, infatti, che il debito pubblico è, in ultima istanza, un debito di noi cittadini tanto vale accollarcelo, almeno in parte direttamente, alleggerendo in corrispondenza lo Stato. Così, per fare un esempio, se il debito venisse trasferito per il 50% ai privati, lo Stato vedrebbe dimezzato il rapporto debito/Pil, che passerebbe dall’ attuale 118 a 59, leggermente inferiore al massimo previsto dal trattato (60%). Ma, ciò che più importa, lo Stato vedrebbe dimezzato l’ onere per interessi che passerebbe dagli attuali 80 miliardi di euro a ben meno di 40. Non ci vuol molto a intuire quel che si potrebbe ottenere, in termini di sviluppo, se le risorse così liberate venissero investite secondo un disegno razionale e condiviso. Certo, la medicina è molto amara ma la guarigione è possibile. Dal punto di vista dei cittadini sarebbe un errore ricusare la medicina solo perché è dura, senza domandarsi se vi siano alternative e senza tener conto dei risultati che è in grado di produrre». È innegabile che attraverso gli investimenti resi possibili dalla forte riduzione degli interessi passivi il Paese troverebbe nuovo slancio. Ma in che modo e con quali criteri il debito si ripartirebbe tra i cittadini? «I criteri possono essere tanti e tutti opinabili. Secondo me, la ripartizione si potrebbe fare in base al valore corrente del patrimonio immobiliare, dando rilievo all’ epoca in cui i beni sono entrati nella disponibilità dell’ attuale titolare. Un esempio. Secondo dati attendibili, il debito pubblico è pari grosso modo al 25% del patrimonio immobiliare italiano espresso in valori correnti. Ne deriva che per dimezzare il debito pubblico occorrerebbe che su ogni immobile venisse trasferito mediamente un debito pari al 12,5% del suo valore corrente. Dico «mediamente», perché in concreto la quota trasferita su ogni immobile dipende – tra l’ altro – dall’ anno d’ acquisto e dalla posizione soggettiva del titolare. Sulle modalità di ripartizione, fermo l’ obiettivo, va lasciato, per ovvie ragioni, ampio spazio alla politica, intesa nel senso nobile della parola. È probabile comunque che la quota oscilli tra il 5% e il 20% del valore corrente dei singoli cespiti». Si tratta, se capisco bene, di un’ imposta patrimoniale? «No. Per due ragioni. La patrimoniale è una normale imposta, da pagare subito, che non di rado pone il cittadino in drammatiche situazioni. Con la mia ipotesi, invece, il titolare dell’ immobile può scegliere tra varie modalità di pagamento. Può pagare subito, ottenendo anche un congruo sconto; può pagare nell’ arco di 3-4 anni senza sconto e senza interessi; può pagare a scadenza indeterminata, magari quando l’ immobile sarà venduto: in tal caso il debito sarà assistito dall’ ipoteca sull’ immobile e sarà oneroso ad un tasso grosso modo pari a quello sui mutui fondiari. Tralascio, per ovvie ragioni, i tanti dettagli. Dico solo che possono essere adottati vari accorgimenti per dare effettiva tranquillità ai debitori/proprietari sui tempi e sui modi di pagamento. Si potrebbe, tra l’ altro, anche rivitalizzare l’ istituto della nuda proprietà facilitandone l’ accesso con opportuni provvedimenti fiscali. La seconda ragione è che quella qui proposta è sostanzialmente un’ imposta straordinaria sulle plusvalenze immobiliari e non una patrimoniale. Tant’ è che, ad esempio, due appartamenti con lo stesso valore corrente possono subire un’ imposta assai diversa, anzi, uno dei due potrebbe non subirne alcuna se è stato acquistato di recente. Tutto dipende, insomma, dalla plusvalenza incorporata». È vero che vi è una differenza netta tra la sua proposta e la patrimoniale. Resta il fatto che colpire la casa è sentita come una vera e propria ingiustizia. «Comprendo l’ obiezione, anche se dobbiamo riconoscere che noi italiani quando parliamo della casa ci facciamo guidare più dal sentimento che dalla ragione. Faccio tuttavia due considerazioni. La prima riguarda, se così posso esprimermi, la portata etica della proposta. Negli ultimi decenni i valori immobiliari sono cresciuti a dismisura per effetto della cosiddetta rendita urbana. Non è difficile intuire che se lo Stato avesse adottato una diversa disciplina delle aree, quella rendita avrebbe potuto essere acquisita dall’ Erario e, in tal caso, non avremmo il debito pubblico che abbiamo oggi. Rispetto a 40-50 anni fa il valore degli immobili è cresciuto, in alcuni casi, anche di 100 volte; in ogni caso è cresciuto di alcune decine di volte. Ora, non mi sembra irragionevole, anche in termini etici, che una parte di questo incremento venga acquisito dallo Stato con modalità che rechino il minor disagio possibile ai cittadini. Dobbiamo ricordare, poi, che almeno il 20-25% degli italiani non ha una casa di proprietà e quindi non ha potuto godere di quella rendita. La seconda considerazione riguarda le possibili alternative alla proposta formulata. Non credo che vi siano strade più agevoli e – come dire? – più giuste per recuperare elasticità di bilancio e attuare una politica di sviluppo. Se ce ne sono, esploriamole. Quel che non possiamo fare, è fingere di non vedere». Davvero pensa che un’ operazione del genere sia sostenibile politicamente? «Bisognerebbe chiederlo ai politici. Tutto dipende dalla credibilità della classe politica che la propone». E in Italia quale forza politica potrebbe proporla? «Ogni forza politica che sappia interrogarsi sul futuro del Paese e ne abbia veramente a cuore le sorti; che non sia prigioniera di meschini interessi quotidiani». Più in concreto? «Ritengo che la proposta possa essere attuata con probabilità di successo da una forza politica che si aggreghi proprio sull’ idea forte di dare una vera svolta, economica e sociale, al nostro Paese. Questa forza politica si deve dare il compito di trasformare la proposta in un progetto, in un grande Progetto-Paese di lungo respiro e di ottenere intorno ad esso il convinto consenso dei cittadini. In questo grande progetto debbono trovare posto anche provvedimenti volti a contrastare più efficacemente l’ evasione fiscale; ad assoggettare a congrua tassazione cespiti che ora vi sfuggono; a ridurre le imposte sulle imprese; a rendere più equa la distribuzione del carico fiscale sulle famiglie, con particolare attenzione alle condizioni di maggiore povertà. Vanno inoltre individuate nuove ed efficaci modalità (anche di carattere fiscale) per accrescere la partecipazione dei cittadini alla costruzione di un “welfare” durevolmente sostituibile». Come andrebbero utilizzate le risorse generate dalla privatizzazione del debito pubblico? «In proposito ho alcune idee, ma credo che a questa domanda è bene che risponda la politica. Posso solo dire che occorre procedere con grande rigore e concentrare gli sforzi su obiettivi chiari e largamente condivisi».
Capaldo: rebus debito pubblico. Ricetta possibile la privatizzazione
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