Come sostenere la crescita dell’economia italiana senza aggravare la finanza pubblica? L’Assonime, attraverso il suo Presidente Luigi Abete, ha lanciato una proposta importante. Quella di aumentare l’Iva e di abbassare le imposte dirette. Anche se fatta a parità di gettito, questa proposta può sostenere la crescita dell’economia.
Infatti, lo spostamento dell’imposizione dalle dirette alle indirette, a parità di gettito complessivo, riduce l’imposizione sui fattori di produzione interni (lavoro e capitale), mentre aumenta l’imposizione sugli acquisti e, quindi anche sulle importazioni. In altre parole, questa manovra agisce come una sorta di svalutazione competitiva senza gli svantaggi della svalutazione della moneta (oggi impossibile), perché non c’è un deterioramento delle ragioni di scambio e quindi non c’è perdita di potere d’acquisto nei confronti dell’esterno.
Non è un caso se una manovra di questo tipo è stata fatta più o meno da parte di tutti i paesi, in particolare da quelli della zona euro, che non possono ricorrere a variazioni del tasso di cambio della loro moneta. Si tratta di una sorta di svalutazione fiscale che favorisce la produzione nazionale a scapito di quella proveniente dall’estero. Ovviamente si tratta di un vantaggio limitato e non ripetibile. Ma non per questo è da rifiutare.
Ci sono anche degli inconvenienti, ma essi sembrano limitati in questa fase congiunturale e possono anche essere eliminati se si gioca sulla struttura delle imposte. Un aumento dell’Iva implica un aumento dei prezzi interni, con effetti di riduzione del reddito spendibile delle famiglie e con rischi di eccitare l’inflazione. Per quanto riguarda l’inflazione, questo rischio è molto limitato in questa fase. La dinamica dei prezzi è molto contenuta e non ci sono pressioni inflattive se non limitatamente a particolari beni. Se c’è un momento per aumentare l’Iva, questo è il migliore, con poca inflazione interna e internazionale. In questo caso, l’aumento dell’Iva giocherebbe come fattore una tantum nell’aumento dei prezzi senza generare reazioni a catena.
Quanto al contenimento del reddito spendibile delle famiglie generato dall’aumento istantaneo di alcuni prezzi, questo effetto è largamente controbilanciato dall’aumento del reddito disponibile in ragione della riduzione delle imposte dirette. Direi di più. Se si procedesse a una riduzione delle imposte dirette limitata essenzialmente ai redditi più bassi, ossia a quelli a propensione al consumo più elevato, si potrebbe avere un maggior aumento di domanda interna. E questo sarebbe un’ottima cosa, sia perché verrebbero agevolate le famiglie che più hanno sofferto della crisi, sia perché la debolezza dei consumi interni è la vera causa della scarsa crescita economica del nostro paese (vedere l’ultimo bollettino della Banca d’Italia).
La proposta dell’Assonime può essere articolata in varie maniere, che si voglia privilegiare la domanda interna o che si voglia puntare a far crescere ancora di più le esportazioni. Essa dimostra, se mai ce ne fosse stato bisogno, che anche con una politica di rigore fiscale si può cercare di favorire la crescita economica. L’Italia ha, nel suo bilancio pubblico, risorse che possono essere meglio indirizzate alla crescita a parità di disavanzo. Basti pensare alle riserve che esistono nel nostro paese con riferimento alla tassazione della casa che è stata esentata malamente da ogni imposizione, generando carenze di risorse per gli enti locali e tagli di spese produttive, senza un reale vantaggio per l’economia. Infatti l’esenzione dell’Ici sulla prima casa (la gran parte del patrimonio abitativo italiano) ha premiato prevalentemente famiglie a bassa propensione al consumo, mentre i tagli della spesa pubblica hanno colpito molte famiglie a basso reddito e, quindi, a elevato tasso di consumo. Certo, ripristinare una tassazione sulla casa non piace a nessuno, ma essa può aiutare a trovare quelle risorse che sono necessarie per sostenere la domanda interna e assicurare una maggiore giustizia sociale.
Coniugare rigore e crescita è un’operazione difficile e che necessita di delicati interventi sulla finanza pubblica, con pochi riguardi al populismo e alle corporazioni. Ma essa è necessaria in questa fase economica per difendere l’occupazione e per salvaguardare la nostra stabilità finanziaria, che dipende tanto dal controllo del disavanzo pubblico quanto dalla crescita del nostro reddito.
Meno Irpef e più Iva per ripartire
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