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Per crescere servono riforme non la patrimoniale

L’intervento sul livello dello stock del debito è l’obiettivo specifico da perseguire immediatamente? Io credo di no. Penso che il “partito della patrimoniale”, ovvero di coloro che auspicano un intervento di riduzione dello stock del debito tra i 400 e 600 miliardi attraverso un prelievo concentrato sulla ricchezza privata, sia in errore. Lasciamo da parte gli aspetti distributivi e di equità (peraltro gravi), atteniamoci agli aspetti macroeconomici. L’obiettivo immediato deve essere la crescita perché riguarda il benessere dei cittadini e garantisce la sostenibilità, intervenendo sulla dinamica del debito. I debiti sovrani ora sotto attacco, in quanto a rischio sostenibilità, non sono quelli più elevati in rapporto al Pil, ma quelli il cui incremento è più rapido. Questo incremento dipende da tre variabili, l’indebitamento corrente, il tasso di crescita reale dell’economia e il tasso di interesse. Se l’economia è in stagnazione, i debiti, anche se ridotti sotto il 100 per cento del Pil, non sono sostenibili e questa aspettativa fa alzare i tassi di interesse da pagare per il loro finanziamento. I sostenitori della misura sostengono che in questo modo si porrebbe al sicuro la finanza pubblica con effetti benefici sulla crescita. Inoltre, si avrebbe un risparmio sugli interessi passivi pagati dallo stato che avrebbe maggiori risorse per lo sviluppo. L’errore risiede nell’ignorare l’effetto depressivo immediato sulla crescita, oltre quello sistemico, connesso sia all’introduzione di un elemento di rischio nel detenere ricchezza in Italia, sia all’affermare un sistema fiscale non pro-crescita.
L’effetto recessivo dipenderebbe da un “effetto ricchezza” negativo sui consumi e da un effetto negativo sugli investimenti nel settore immobiliare. Il problema immediato non è quindi lo stock del debito, ma il controllo del disavanzo corrente e il tasso di crescita dell’economia. Come chiarito dall’ultimo Rapporto sulla Stabilita Finanziaria (Banca d’Italia), l’Italia è il paese più vicino al conseguimento della stabilizzazione del debito. Il punto debole è la crescita. Come conseguirla? Servono le politiche microeconomiche, fondate sulle riforme dei mercati e delle istituzioni oltre che sul potenziamento delle capacità di offerta.
Ciò non significa che vengono a cadere i problemi di compatibilità macroeconomica. Tuttavia, per affrontarli dovrebbe essere rovesciato l’approccio del partito della patrimoniale. Il primo passo è stabilire una regola, già perseguita dal Governo, che preveda l’invarianza in termini reali della spesa pubblica. Ciò porrebbe l’Italia su un sentiero di consolidamento fiscale e di riduzione del debito, la cui velocità dipenderebbe dalla crescita del Pil. Se questo è vero, paradossalmente, anche un rinnovato piano di privatizzazioni con dismissioni accelerate del patrimonio pubblico non dovrebbe essere tanto diretto a ridurre nell’immediato lo stock del debito quanto a finanziare investimenti per la crescita e porre al sicuro il saldo di bilancio in una fase di transizione delle riforme. L’esperienza passata ha dimostrato che vendere patrimonio per ridurre il debito non serve se non si attiva la crescita, dato che il rapporto debito/pil ritorna ad aumentare. L’attuazione delle riforme deliberate, o in via di approvazione, sono in prevalenza a costo zero, perché dirette a conseguire grandi risparmi, maggiore efficienza e rilancio dell’economia. Lo sono la riforma della pubblica amministrazione, della scuola e dell’università, lo deve essere quella del federalismo fiscale e la riforma fiscale.
La madre delle riforme che deve oggi occupare l’agenda politica è l’aggancio della riforma federalista alla riforma fiscale. Una riforma che si dovrà fondare sul principio dello spostamento del gettito dalle imposte dirette a quelle indirette, sintetizzata nello slogan “dalle persone alle cose”. In questo ambito è attuabile anche la semplificazione delle aliquote delle imposte dirette, da ridurre a due. Ciò renderebbe il nostro sistema fiscale meno regressivo in presenza dei tanti sistemi di elusione oggi presenti. Inoltre, questa riforma deve essere agganciata immediatamente alla riforma federalista perché ne è la conseguenza concettuale e forse il presupposto attuativo. Una riforma fiscale di così grande portata presenta l’ostacolo che essa non può avere un impatto, neppure transitorio, sui saldi di bilancio. Per questo, è utile avere una terza gamba della strategia da adottare, accanto al blocco della spesa corrente e all’accelerazione delle riforme: un piano di privatizzazioni che porti nelle casse dello stato 50 miliardi di euro l’anno, per qualche anno. Servirebbe ad assorbire la liquidità privata ferma e la ricchezza improduttiva per rimetterla in circolo nei due modi più utili: investimenti e riserve. Come l’attività creditizia si può svolgere ordinatamente con adeguate riserve di garanzia così anche lo stato ha bisogno di una riserva, un tesoretto di garanzia, più che di ridurre di colpo il debito.

Fonte: Sole 24 ore del 15 febbraio 2011

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