Draghi:l’aumento del petrolio potrebbe frenare il Pil dello 0,5%
L’avviso alle banche.Va aumentato il livello di patrimonializzazione e vanno accantonati gran parte degli utili.Lavoro e salari.La disoccupazione sfiora il 30% e i salari di ingresso sono fermi da oltre dieci anni
E’ il momento di aver «più coraggio» nelle riforme perché in Italia la crescita «stenta da quindici anni» mentre dovrebbe procedere a ritmi più sostenuti ed in modo più «equo» e «duraturo» «per migliorare le aspettative» delle imprese, delle famiglie e soprattutto dei giovani. Il governatore della Banca d’ Italia, Mario Draghi, intervenendo all’ annuale assemblea dei tesorieri e degli operatori del Forex, Assiom e Aiaf, torna a sollecitare interventi più decisi per risvegliare l’ economia italiana: nel campo dell’ istruzione e della ricerca, dove va premiato e valorizzato il merito; nella pubblica amministrazione, per ridurre l’ onerosità della burocrazia; nel mercato di lavoro, «fortemente segmentato dove si va dall’ estremo della minima mobilità a quello della massima precarietà». E’ «uno spreco di risorse» osserva Draghi denunciando «l’ avvilimento» dei giovani, fra i quali il tasso di disoccupazione sfiora il 30%, e i cui salari di ingresso nel mondo del lavoro sono fermi in termini reali da oltre dieci anni. E poi c’ è il peso eccessivo delle tasse che in Italia già supera di 3 punti quello medio di Eurolandia, senza contare eventuali aumenti del prelievo decentrato per il federalismo fiscale. Bisogna dunque «destinare i recuperi di evasione a ridurre le aliquote di chi paga il dovuto, famiglie e imprese». Alle quali il governatore torna a chiedere di aumentare le dimensioni. Sullo scenario economico, dominato dall’ incertezza della ripresa, preoccupano, rileva Draghi gli esiti della rivolta in Libia. «Nell’ economia italiana un aumento del 20% del prezzo del petrolio determina, a parità di altre condizioni, una minor crescita del prodotto di mezzo punto percentuale nell’ arco di tre anni». Che non è poco visto che è la metà del tasso di sviluppo atteso, pari all’ 1% l’ anno. Di fronte ad un pubblico di operatori e di banchieri – tra i quali i presidenti di Unicredit, Dieter Rampl, Generali, Cesare Geronzi, Bnl Luigi Abete, Montepaschi ed Abi, Giuseppe Mussari e del consiglio di sorveglianza di Banca Popolare, Carlo Fratta Pasini – Draghi ricorda come il sistema italiano abbia superato indenne la prima fase della crisi ma come ora risenta degli effetti della recessione, diminuendo ricavi e redditività. E non si tratta di un cambiamento transitorio, ma strutturale, avverte il governatore, chiedendo alle banche di essere più attente e prudenti nella gestione della liquidità e di mettere in piedi nuove strategie per «migliorare» il rapporto tra costi e ricavi peraltro già vicino a quello dei competitori europei (62% contro una media del 58% delle banche Ue). Occorre, dice, «razionalizzare le reti di vendita, estendendo e affinando l’ uso della tecnologia, semplificando le strutture produttive, cedendo ulteriori attività non strategiche, adeguando le politiche di remunerazioni ai vari livelli». Ma senza tornare indietro sulla trasparenza e sui rapporti con la clientela. Le banche dovranno annunciare sin da subito, se li hanno programmati, i loro programmi di ristrutturazione. Così come dovranno comunicare, prima del prossimo più severo stress test in preparazione a livello europeo, eventuali aumenti di capitale se già messi in cantiere. Il livello di patrimonializzazione delle banche italiane «è migliorato» ma «deve continuare» dice Draghi sollecitando nuovamente di accantonare senza distribuirli la gran parte degli utili. E sulla vigilanza di Bankitalia, prende come un complimento la definizione di «asfissiante» data da alcuni banchieri. I controlli insomma non diminuiranno, anzi. Infine la politica monetaria. Da perfetto possibile candidato alla presidenza della Bce, Draghi ribadisce la necessità di mantenere fermo l’ obiettivo di contrastare l’ inflazione, valutando «attentamente i tempi e le modalità di una normalizzazione delle condizioni monetarie, dei tassi di interesse».
“La crescita stenta da 15 anni. Giovani, troppe risorse sprecate”
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