Mentre il capitale fisico e finanziario possono erodersi se vengono utilizzati troppo e male, il capitale “politico” si accresce se lo si usa e lo si impiega bene. Ma cosa fanno i politici del loro capitale finanziario? Non è una domanda peregrina, in quanto in paesi come gli Stati Uniti la politica intermedia il 30 per cento del pil. E in Europa il 50 per cento. Si presume che nell’allocarlo lo facciano con la stessa accortezza con cui il buon padre di famiglia destina le attività nel nucleo. Andrew Eggers dell’Università di Yale e Jens Hainmueller del Massachusetts Institute of Technology si sono presi la briga di fare un po’ di conti e di pubblicarne una versione preliminare sul “Microeconomcs: Asymmetric & Private Information eJournal” nel lavoro “Political Capital: The (Mostly) Mediocre Performance of Congressional Stock Portfolios, 2004- 2008”.
Il quadro non è incoraggiante: mentre uno studio campionario degli anni Novanta mostrava che i parlamentari americani sapevano entrare ed uscire da questa o da quella azione con tempismo, i portafogli azionari di deputati e senatori americani, tra il 2004 e il 2008, risulta siano andati mediamente al di sotto degli indici di mercato del 2-3 per cento l’anno. Una determinante può essere il fatto che investono in modo “sproporzionato” dicono Eggers e Hainmueller – in capitale di rischio di aziende dei loro collegi elettorali. Con la conseguenza di trovarsi spesso non solo con rendimenti mediocri ma anche con conflitti d’interesse.
Mai mettere troppo capitale in mano al politico
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