• domenica , 24 Novembre 2024

Il buono e il cattivo esempio

Il governo italiano si è distinto finora per essere tra i meno interventisti, però l´intenzione di predisporre strumenti ad hoc o interventi tramite Cassa depositi e prestiti o Fintecna sembra avere obiettivi di carattere prevalentemente difensivo.
I profondi sconvolgimenti prodotti da una grande guerra o da una grave crisi economica e finanziaria suscitano sempre una forte domanda di intervento pubblico in economia. Un intervento che può avvenire sotto forma sia di misure di bilancio a sostegno del reddito e della domanda di famiglie e imprese sia di azioni dirette al salvataggio e alla protezione di banche e imprese spesso definite per l´occasione come “strategiche” o rilevanti per un qualche rischio “sistemico”. Le forme concrete che questi interventi assumono possono differire radicalmente per contenuto, modalità e durata. Molto spesso, quando si tratta di interventi nella proprietà delle imprese o di banche, essi avvengono non sulla base di una coerente strategia predefinita ma sotto la pressione degli eventi.
Le vicende degli ultimi tre anni confermano questa esperienza, anche se la minore gravità e diffusione della crisi economica odierna rispetto a quella degli anni Trenta del secolo scorso ha reso finora meno estesi e apparenti che allora gli interventi pubblici a tutela diretta delle attività produttive nazionali, evitando ad esempio di ricorrere anche a forme esplicite di protezionismo commerciale. Un carattere dichiaratamente protezionistico sembra avere l´intenzione del governo di predisporre strumenti ad hoc (Fondi o altro) o interventi tramite Cassa depositi e prestiti o Fintecna, “analoghi a quelli in essere in altri Paesi europei, al fine di assumere partecipazioni in società di interesse nazionale rilevanti in termini di strategicità del settore”.
Conviene ricordare che il governo italiano si è distinto finora per essere tra i meno interventisti, nel bene e nel male. Anche per l´incombere dei vincoli derivanti dall´enorme stock di debito pubblico accumulato in passato, è, tra i Paesi industrializzati, quello che ha fatto meno di tutti per il sostegno della domanda di famiglie e imprese (e ci si può chiedere se qualcosa di più o di meglio non poteva essere fatto), sopportando una crescita ancor più bassa di quella pur ridotta degli altri Paesi europei. Inoltre, pur fornendo la disponibilità di alcune garanzie indirette, il governo italiano non è stato costretto, a differenza di altri, ad effettuare salvataggi di istituti bancari.
L´intervento che è stato recentemente annunciato potrà essere compiutamente valutato quando sarà stato meglio definito in dettaglio. Al momento, si può osservare che i suoi obiettivi sembrano essere di carattere prevalentemente difensivo e di tutela. Sotto questo aspetto, per quanto riguarda la difesa da partecipazioni di controllo da parte di imprese private di altri Paesi europei può costituire un fattore di ulteriore scoraggiamento dei già scarsi investimenti diretti in Italia, anche se misure analoghe sono adottate in alcuni di tali Paesi. Ciò sembrerebbe confermare la difficoltà di orientare la politica industriale italiana e le risorse pubbliche in senso positivo e di stimolo alla crescita dimensionale delle imprese, alla loro internazionalizzazione e capacità di ricerca e innovazione.
A questo scopo, accanto a concrete e non soltanto annunciate politiche di carattere “orizzontale-ambientale” quali la riduzione dei fardelli burocratici, la realizzazione di opere infrastrutturali, il miglioramento del mercato del lavoro, dell´accesso al credito e delle attività di istruzione e formazione anche la proprietà pubblica di partecipazioni in imprese può essere utile. Soprattutto in settori caratterizzati da elevati costi di investimento iniziali, lunghi periodi di recupero ed elevata incertezza. E cercando di rispettare alcune condizioni: che non comportino un freno alle privatizzazioni che possono contribuire a valorizzare il patrimonio pubblico e non a trasferire rendite a privati; che non riducano la concorrenza, anche internazionale; che non impongano oneri impropri a una classe manageriale disposta ad accettarli per perpetuarsi in forma autoreferenziale.
L´esperienza in materia di intervento pubblico diretto in economia mostra che esso ha avuto successo, come in un certo periodo dell´attività dell´Iri o della Cassa per il Mezzogiorno, quando e finché gli enti attraverso i quali si è attuato tale intervento hanno rispettato alcuni requisiti: avere assegnati compiti ben definiti; disporre di una elevata progettualità e capacità di realizzazione; godere di piena autonomia organizzativa, finanziaria e operativa; essere guidati da persone preparate, oneste e indipendenti, oltre che pratiche (per usare una terminologia cara ad Einaudi).
Rispettando questi requisiti, l´impresa pubblica può contribuire a superare alcuni limiti tradizionali del nostro capitalismo, che però vanno affrontati anche adottando specifiche misure dirette a rimuovere i numerosi fattori che frenano la crescita delle numerose imprese a base ristretta di soci (spesso familiari); ad accrescere la disponibilità di risorse finanziarie per l´espansione dell´attività d´impresa superando strutture piramidali penalizzanti; a favorire l´integrazione tra attività di ricerca e innovazione tecnologica; a dotare l´economia di infrastrutture essenziali per la crescita. Per qualche tempo, alcune grandi imprese pubbliche italiane vi sono riuscite. Anche se, con il passare del tempo, i requisiti prima indicati sono via via venuti meno con conseguenze devastanti, sarebbe importante, piuttosto che disputare astrattamente su Stato e mercato o sui vari tipi di capitalismo, (ri)cominciare bene rispettando quei requisiti.

Fonte: Formiche del 1 maggio 2011

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