Perché il referendum sull’acqua è una patacca mediatica.
Dopo il nucleare, lacqua. Checché ne pensi (?) Celentano, e nonostante le polemiche su un presunto scippo sollevate dai comitati per il sì strumentali, perché è previsto dalla norma che istituisce listituto del referendum che se la legge che si vuole abrogare viene modificata nel senso che i quesiti referendari pongono la consultazione salta, e comunque a decidere è la Corte Costituzionale sono totalmente daccordo con il ministro Romani che vorrebbe creare le condizioni perché si evitino i due quesiti (su quattro, altri due sono stati dichiarati inammissibili) relativi allacqua. Si tratta dellabrogazione di un articolo, il 23 bis, del decreto Ronchi e della norma del Codice dellambiente che legittima la remunerazione del capitale investito da parte delle società che gestiscono il servizio idrico. Ed il motivo dellauspicio è duplice: perché fin qui la mistificazione referendaria è stata totale, e perché sarebbe loccasione per migliorare una legge che ha fatto solo qualche passo avanti verso la risoluzione dei veri problemi del settore.
Sul primo punto il mio giudizio è netto: siamo di fronte ad una vera e propria patacca mediatica. Si è fatto credere, infatti, che in ballo ci sia la privatizzazione del bene acqua che come tale è, e non potrebbe che essere, pubblico mentre in realtà la Ronchi riguarda solo la gestione del servizio idrico, o meglio dei suoi meccanismi di affidamento, che vengono modificati sancendo lobbligo per gli enti locali di indire una gara, alla quale potranno continuare a partecipare tutte le utility, come è stato finora. E saranno i Comuni a stabilire le condizioni dellaffidamento e a fissare le tariffe, non gli operatori. Anche la tanto esecrata norma Ronchi che prevede lazionista pubblico sotto il 30% nel capitale delle spa di gestione è oggetto di strumentalizzazione: prima di tutto perché le utility già sono giuridicamente private, e lo sono tanto più se quotate in Borsa, e poi perché per i Comuni la riduzione di quota non è un obbligo, ma solo la condizione per conservare lo strumento dellaffidamento diretto ed evitare le gare. Inoltre non si è spiegato agli italiani che proprio attraverso lefficienza della sua gestione si può tutelare il valore vitale e collettivo dellacqua. E che le condizioni del sistema su cui si è voluto intervenire sono a dir poco pietose visto che, in media, disperde la metà delloro blu nel percorso dalla fonte al rubinetto. Se il referendum servisse a cambiare sarebbe sacrosanto, ma purtroppo è fatto per conservare una rete colabrodo costosa (oltre alle tariffe, cè la fiscalità generale) ed anti-ecologica. E per risistemarla occorre reperire risorse sul mercato si parla come minimo di 60 miliardi essendo notorio che dalla finanza pubblica non può arrivare un euro.
Ma un intervento legislativo non servirebbe solo a bloccare il referendum. Significherebbe anche la possibilità di istituire quellauthority che tutti invocano, di definire condizioni contrattuali di affidamento più chiare e stabili a garanzia degli investimenti, di superare le differenze tra norme nazionali e regolamenti locali, di metter mano a vere emergenze che si chiamano fogne e depuratori.
Dunque, aspettiamo con ansia che il governo trovi il tempo e la coesione per agire. Magari con un po più di chiarezza di quanto non abbia fatto per il nucleare.
Mistificazione referendaria
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