Lo hanno detto e ripetuto il capo e i rappresentanti di questo Governo, settimana dopo settimana: «Non abbiamo mai messo, non mettiamo e mai metteremo le mani nelle tasche degli Italiani» significando con ciò che per tenere sotto controllo la finanza pubblica non occorreva aumentare le imposte. La reazione era poi durissima se solo si sentivano le quattro lettere pi, a, ti, erre: pavlovianamente, senza neppure attendere se si volesse dire patria o, che so, patronimico.
Subito ministri, portavoci, capigruppo di maggioranza dichiaravano che avrebbero protetto i cittadini dalla patrimoniale, con cui una certa sinistra voleva espropriare i risparmi dei cittadini. Bene, bene. Se è saggio chi sa cambiare idea, bisogna dire che il Governo con la manovra di questi giorni ha dato gran prova di saggezza. I 43,4 miliardi di correzione dei saldi di finanza pubblica fra quest´anno e il 2014 sono ottenuti per oltre un terzo con maggiori entrate: dunque con un aumento di pressione fiscale (già fra le più elevate d´Europa) anche trascurando le mani nascoste delle addizionali degli enti locali e delle tariffe. Pazienza, diranno i cittadini, fin quando si tratta di un´Irap più elevata su banche e assicurazioni, istituzioni non particolarmente amate, o delle imposte su giochi e scommesse, che non fanno parte della dieta necessaria per la sussistenza. Ma non sono queste le voci principali del menu. Il piatto forte, per un gettito atteso di oltre 8 miliardi, è, udite, udite, una delicata, piccola imposta patrimoniale sulla ricchezza mobiliare, con incidenza tanto maggiore, quanto minore è la ricchezza: non un fruscio, perciò, ma un rozzo rumore di mani nelle tasche.
Un tempo chi investiva in titoli si teneva a casa (o in cassetta di sicurezza) i suoi certificati obbligazionari o azionari (spesso belli a vedersi) e andava in banca per riscuotere le cedole pazientemente ritagliate. Oggi i titoli non esistono più nella loro materialità. Il risparmiatore che non si affidi a un gestore specializzato deve rivolgersi a una banca per aprire un conto di deposito in cui si registra la proprietà dei titoli. Sulle comunicazioni periodiche delle banche sui titoli come sugli estratti dei conti correnti si pagava la stessa modesta tassa, di 22,8 euro all´anno. Non più: sulle comunicazioni (obbligatorie) relative ai titoli graveranno da oggi 120 euro all´anno; che saliranno a 150 dal 2013 e a 380 se il valore del deposito supera i 50.000 euro.
Le caratteristiche di questo nuovo balzello sono notevoli. Chiamatela come volete, si tratta indiscutibilmente di un´imposta patrimoniale ordinaria. Il partito della Lega sarà lieto di sapere che colpisce il Nord in misura maggiore. A livello personale, si tratta poi di un´imposta patrimoniale regressiva perché per testa e non proporzionata alla ricchezza. Da domani sia la patetica vecchina con 10.000 euro di Bot o Btp, sia l´agiato proprietario di un portafoglio da decine di migliaia di euro pagheranno entrambi gli stessi 120 euro che quasi azzerano i rendimenti della vecchina mentre appena sfiorano il benessere del più ricco. Questa proprietà si accentua dal 2013 all´interno di ciascuna delle due fasce. Esempio. La prefata vecchina con 10.000 euro di Btp al 3% lordo e 2,6% netto si ritrova con poco più dell´uno per cento dopo la nuova patrimoniale (senza tener conto delle spese bancarie). Al dirigente con 45.000 euro di BTP, pagata la nuova tassa, resta pur sempre un non magrissimo 2.3%. Ma vi sarà, se ne può stare certi, chi si prenderà cura della vecchina. Le banche, premurose, anche traendo vantaggio dalla (giusta) riduzione della ritenuta d´acconto sugli interessi dei depositi dal 27 al 20 per cento, offriranno impieghi alternativi ai titoli. Pare di sentirle: «signora mia, sembra che questo nostro pezzo di carta renda poco, ma almeno non ci paga sopra 150 euro». Evviva. E un ricordo. La grande Signora Thatcher fu travolta, e finì per uscire di scena, quando si mise in testa di imporre un´imposta capitaria sulle abitazioni (la poll tax). E´ vero: la ricchezza mobiliare in titoli è poca cosa rispetto a quella immobiliare ed è meno diffusa. Ma fosse che
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Fonte: Repubblica del 7 luglio 2011